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C’è chi perde la coda e chi la testa

L’acqua si tinge di rosso

di Deborah Cervi


(fonte immagine)

Sono spettacoli, unici da ammirare, lo dicono tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarli. Tonnellate di chili in un oceano infinito. Nuotano, comunicano, crescono i figli, intrecciano rapporti affettuosi tra loro. Proprio come l’uomo, ma è da questo che dovrebbero scappare. Ancora notizie su notizie, foto su foto, massacri su massacri.

Navighi in internet e provi a digitare su Google «le balene e l’acqua». Ti aspetti articoli illuminanti su questo binomio spettacolare o barche con persone che fotografano questi enormi esemplari e invece c’è molto di più. Ci sono le barche, le persone, le balene, l’acqua e il sangue.

Una voce dice «il blog di Beppe Grillo», allora clicco per leggere la sua esperienza con questi animali, ma non riesco a scorrere la pagina. Video, foto e didascalia fanno rabbrividire. C’è solo una baita rossa con persone in festa che sembrano vichinghi invasori con tanto di «accette moderne» alla mano, che con forza si accaniscono sull’acqua da dove spuntano come fiori pinne e code di colore scuro (guarda il video «The Killing of Dolphins»).

Si potrebbe pensare ad una «guerra tra pari», ma come si sa, nelle guerre c’è sempre chi perde e solitamente sono i più deboli. Qui accade lo stesso. Delfini balena che vengono spinti dai motoscafi verso la riva dove l’acqua è più bassa, perché si sa, in guerra tutto è lecito e si cerca sempre di agevolare la lotta. Non manca proprio niente; come Massimo il Gladiatore, anche i cetacei hanno i loro spettatori intorno alla baia come intorno all’Arena. Tanti i genitori con i bambini che ammirano e applaudono ogni colpo inferto sull’animale che, inerme, non può scappare; non ci riesce e chi riuscirebbe a scappare sott’acqua con squali che ti pugnalano la schiena con le loro fauci?

Tutto questo si svolge in Danimarca, nelle isole Faer Oer, arcipelago che si trova nel nord dell’Oceano Atlantico tra la Scozia, Norvegia e Islanda: una tradizione locale, simile a uno degli innumerevoli ‘riti di passaggio’ delle diverse grandi religioni, prevede che i ragazzi uccidano e squartino a sangue freddo un consistente numero di delfini-balene (adescate e intrappolate lungo la costa) come pratica e simbolo di passaggio all’età adulta. La traduzione del nome è delle isole Faer Oer è «Isole delle pecore». Talvolta i nomi raccontano tutto di un posto e mai come questa volta il nome poteva essere più giusto. Pecore nell’accezione più negativa; coloro che scappano, che si nascondono in una baia e che colpiscono diventando lupi all’occorrenza.

Gli abitanti sono molto carini, hanno il loro abbigliamento tipico, le bambine sembrano la versione adulta di Heidi, ma a differenza della piccola pastorella che se ne stava sui monti a correre con gli animali, loro gli animali li guardano morire insieme al nonno e all’amico Peter.

Il coraggio di cliccare nuovamente il tasto ‘play’ non ha superato lo sdegno e il dolore. Dicono che nessuno può giudicare i paesi con le loro rispettive tradizioni e che se non nasciamo in un luogo non potremmo mai conoscere il motivo che spinge a certe azioni, ma ci vuole davvero poco a pensare che nessuno può, con tanta irrisoria freddezza trasformare il mare in un campo di battaglia in cui a perdere saranno sempre e solo i più «piccoli».

Le balene continuano a perdere la loro coda e noi continuiamo a perdere la nostra testa.

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