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La liquidità dell’individuo moderno

Ciò che manca alla nostra vita, sostiene Zygmunt Bauman, è la stabilità

di Caterina Kirsten


(fonte immagine)

Prendere l’acqua nelle mani è impossibile, l’acqua ci sfugge, scorre tra le nostre dita, ne perdiamo sempre almeno un goccio. La nostra realtà è come l’acqua, afferma il sociologo Zygmunt Bauman in una serie di saggi di questo nuovo millennio. Secondo lui, noi viviamo in una modernità «liquida». L’acqua diventa una metafora per tutto ciò che ci definisce: il nostro modo di vivere, i nostri sentimenti, le nostre relazioni con gli altri. Cose che ci sfuggono prima di essere com-prese.

I saggi si intitolano appunto Modernità liquidaVita liquidaAmore liquido, e l’ultimo Liquid Times, non ancora tradotto in italiano. Ma questa liquidità, cos’è? È la fragilità, la fugacità dei rapporti a cui ci dedichiamo, dei prodotti che consumiamo, dei ruoli e delle identità che assumiamo. È insomma la data di scadenza di tutte queste cose che si avvicina sempre di più alla loro data di «produzione». L’individuo dei giorni di oggi è in continuo movimento, anzi in continuo mutamento. La sua identità, sostiene Bauman, non è né definita nè definibile, viene composta, scomposta e ricomposta: un perenne «riciclaggio» dell’identità.

«Scorrendo come l’acqua», scrive «Barefoot Doctor» sull’Observer nel 2003, «ci spostiamo rapidamente, senza mai contrastare la corrente, né fermarci abbastanza da ristagnare o aggrapparci agli argini o alle rocce – gli averi, le situazioni o le persone che attraversano la nostra vita –, e nemmeno tentando di restare fedeli alle nostre opinioni o visioni del mondo». Dovendo re-inventarsi continuamente, l’individuo della modernità liquida è la vittima perfetta del marketing, è la personificazione del consumismo: come si aggiornano i prodotti di consumo, così si aggiorna anche l’individuo liquido secondo i criteri del mercato – velocità, eccesso, scarto.

Interessante è il richiamo di Bauman alla cultura: essa vuole avere un valore eterno, indipendente dal significato e dall’uso che le è stato assegnato nel momento della sua creazione. Questa accezione della cultura sta in palese contrasto con la transitorietà della modernità liquida. Se «il mercato dei consumi privilegia l’immediatezza del consumo, della gratificazione e del profitto», la cultura è condannata alla morte.

Jacques Mahé de La Villeglé: Métro Arts–et–Métiers, 1983

Infatti, Bauman osserva come anche l’arte contemporanea si subordina ai criteri del mercato, abbandonandosi alla «sindrome consumista» puntando appunto sulla novità, sull’istante, sulla temporalità, anziché sulla durata (e pensiamo subito alla smania di effetto e di sensazione, specie all’arte di Damian Hirst, agli happening, alle performance). Bauman cita l’esempio di Jacques Villeglé, il quale crea dei collage che sembrano incompiuti, continuamente aggiornati, «testimonianze vive». È questa , con le parole di Bauman, «l’arte del vivere moderno».

Secondo Bauman, questa tendenza, il sottomettersi dell’arte alle leggi del consumo, descrive una «cultura del disimpegno, della discontinuità e dell’oblio». Ma c’è da chiedersi se sia legittimo pronunciare un tale giudizio. Il modo di esprimersi è senz’altro cambiato, ma non vuol dire che è privo di significato. Bisogna tener conto che attraverso la storia ogni movimento d’arte (e non solo quello della modernità liquida) si confrontava inizialmente con lo scetticismo dello spettatore, e che però allo stesso tempo la cultura vive di innovazioni.

E non stiamo solo parlando dell’arte. La concezione di liquidità con cui Bauman descrive nei suoi saggi vari aspetti della nostra vita è assai fatalistica (cita addirittura Hannah Arendt e la sua nozione di «tempi oscuri»). Non possiamo invece interpretare la «liquidità« degli uomini anche in termini affermativi? Non possiamo approvare la nostra flessibilità e la nostra volontà di formarci e apprendere continuamente? Non possiamo goderci il fatto che oggigiorno l’agire (il viaggiare, il lavorare, il vivere) in un ambito globale è diventato molto più comodo e semplice? Chi rigetta queste capacità della modernità, pare di insistere su una certa rigidità e monotonia della vita, pare di voler rafforzare i propri confini (geografici, personali, professionali).

Intendere la modernità come acqua non implica che noi ne siamo le vittime. Certo, ci sono quelli che come sassi affondano, oppure quelli che si lasciano prendere dalla forza della corrente. Ma ci sono anche quelli che nuotano a forza loro, anche contro la corrente se necessario. Infatti, Bauman vede una chance – e allo stesso tempo un compito – della globalizzazione: assumersi una «responsabilità planetaria» per aiutare quelli a cui è negata la partecipazione a questa rete globale.

Riferimenti bibliografici:
Bauman, Zygmunt: Vita liquida. Roma-Bari: Laterza, 2008.

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