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Energia idroelettrica e sostenibilità ambientale

Un seminario organizzato da Legambiente e No Tube

di Fabio Faccini


(fonte immagine)

«Energia idroelettrica e sostenibilità ambientale», questo il tema del seminario che Legambiente e Coordinamento regionale No Tube hanno organizzato di recente a Parma, in collaborazione con le sezioni locali di ARCI Pesca e WWF e dei Corsi di Laurea in Scienze e Tecnologie Ambientali dell’Ateneo parmense. Davanti a una platea affollata si sono alternate relazioni tecniche, interventi e una tavola rotonda conclusiva per discutere di politiche ambientali coerenti, del ruolo della pianificazione, della necessità di promuovere le fonti rinnovabili a partire da un corretto rapporto con il territorio.

Obiettivo del seminario, efficacemente esplicitato nell’introduzione di Riccardo Telò (ingegnere idraulico), e Claudio Ghelfi (Presidente Fipsas di Piacenza), aprire un confronto con il mondo scientifico sulle strategie di tutela dei corsi d’acqua – dalla applicazione del Deflusso Minimo Vitale al perseguimento degli obiettivi di qualità previsti dai Piani di Tutela – e definire criteri di sostenibilità per la valutazione dei tanti, troppi progetti di nuove centraline idroelettriche che in Emilia Romagna, come in altre Regioni, sono stati presentati in questi mesi, anche a seguito degli incentivi previsti per le energie rinnovabili.

Di criticità legate alla scarsità degli approfondimenti geologici ha parlato il prof. Renzo Valloni, del Dipartimento di Scienze della Terra (Università di Parma), basandosi sull’esperienza di alcune centraline realizzate o in previsione nella Val Marecchia (Province di RN e P-U). Valloni ha mostrato casi di degrado ambientale dei segmenti torrentizi bypassati dalle condotte a causa del ristagno dei limi e della mancata movimentazione dei letti ghiaiosi ed ha criticato l’eccessiva lunghezza delle canalizzazioni realizzate in zona riparia. Valloni ha anche citato progetti in cui si propone di posare condotte su corpi di frana o di turbinare sul fondo di un alveo inciso, vale a dire all’interno di un dissesto idrogeologico.

Antonio Bodini, del Dipartimento di Scienze Ambientali dello stesso Ateneo, si è chiesto in modo provocatorio se l’energia idroelettrica possa ancora essere considerata una fonte rinnovabile, in presenza di una forte variabilità delle precipitazioni che, oltre a rendere sempre più incerto l’obiettivo di garantire il deflusso minimo vitale nei corsi d’acqua, rischia di assegnare grande incertezza alla possibilità reale di produrre energia idroelettrica, anche a fronte dell’aumento dei prelievi d’acqua ad uso plurimo (civile, industriale, agricolo). Anche Bodini ha evidenziato l’inconsistenza degli studi preliminari e la mancanza di una serie storica di dati ambientali, a corredo dei progetti.

Gli obiettivi del progetto europeo Ch2oice, che coinvolge partner diversi in Italia, Slovenia, Belgio, Spagna, Francia e Slovacchia sono stati illustrati da Giulio Conte, biologo di Ambiente Italia. Alla base della proposta di una certificazione volontaria per un idroelettrico sostenibile, c’è la convinzione di dover aprire una fase di confronto e di concertazione tra tutti gli attori coinvolti (imprese, amministrazione pubblica, ambientalisti, pescatori, ecc.) per ridurre l’impatto delle centrali, migliorare le tecnologie e la gestione degli impianti, aumentare i controlli e progettare nuove infrastrutture garantendo il ‘buono stato’ dei corsi d’acqua.

Di impatto ambientale della centrali idroelettriche ha parlato Elisa Bottazzi (Dipartimento Scienze Ambientali di Parma) in riferimento ad uno studio effettuato dall’Università di Parma su alcuni impianti dell’alto corso del Torrente Parma. Un ottimo lavoro basato su una numerosa raccolta di dati sugli effetti degli stress idrici a cui vengono sottoposti gli ecosistemi acquatici in seguito alla realizzazione e alla messa in esercizio di centraline. Molto interessanti i dati sulla componente dei macroinvertebrati a valle delle traverse di captazione e sugli effetti del flushing improvviso sempre sulla componente biotica.

Alle relazioni ha fatto seguito un breve dibattito e l’intervento dei rappresentanti di ARPA e del Servizio Tecnico di Bacino della Regione, che hanno evidenziato come, in tema di idroelettrico, ad una evidente confusione di ruoli si sovrappongano forti contraddizioni nelle normative di riferimento. Le conclusioni dell’incontro sono state affidate ad una tavola rotonda finale, moderata da Fabio Faccini di Legambiente e coordinamento No Tube.

Pierluigi Viaroli, del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Parma e Presidente della Società Italiana di Ecologia (S.It.E), l’invito a tentare una prima sintesi del dibattito e degli stimoli emersi dalle relazioni. «Manca una politica della conoscenza – ha esordito il docente – che si traduca in dati concreti sulla portata dei fiumi e sul DVM, in previsioni attendibili sugli effetti delle trasformazioni del territorio e sul loro impatto ambientale. L’Università, assieme ad altri enti, può dare un contributo importante alla definizione di linee guida e criteri di valutazione dei progetti, ma questo presuppone, accanto alla volontà politica, la scelta di destinare risorse e investimenti a favore della ricerche ambientali.»

Fabrizio Binelli del Coordinamento No Tube e membro del Comitato Difesa Trebbia Nure e Aveto ha richiamato l’urgenza della pianificazione territoriale e la necessità di dare attuazione alle norme di tutela, che esistono ma non sono applicate. Alla politica del fare, Binelli ha contrapposto la politica del fare bene, riaffermando la convinzione che il rispetto delle regole, la coerenza delle scelte, la partecipazione ed il consenso dei cittadini rappresentino condizioni essenziali per lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Luigi Rambelli, Presidente di Legambiente Emilia Romagna, ha ricordato come il tema della sostenibilità riguardi anche molti progetti di impianti a biomasse dalla filiera ‘lunga’, che nulla hanno a che fare con il territorio e con una corretta programmazione energetica. Ricordando l’opposizione di Legambiente e Greenpeace alla riconversione a carbone dell’impianto di Porto Tolle, Rambelli ha evidenziato come lo stesso rilancio del nucleare in Italia rischi di gravare ulteriormente sul bacino del Po, un fiume già provato dagli interventi di canalizzazione, dai prelievi di ghiaia e, a breve, dai nuovi progetti di bacinizzazione. A proposito delle proposte per nuove centrali idroelettriche nei torrenti e fiumi dell’Appennino, ha sostenuto che i corsi d’acqua dell’Emilia Romagna «hanno già dato» e che una corretta impostazione del rapporto costi/benefici consiglia di orientarsi verso altre fonti rinnovabili quali il solare (termico e fotovoltaico), le biomasse ottenute da scarti agricoli e l’eolico, ove vi siamo le condizioni tecniche e non nelle aree sottoposte ai vincoli paesaggistici e naturalistici.

Unica nota stonata, l’assenza della Regione Emilia Romagna alla tavola rotonda, a dimostrazione di una scarsa attenzione dell’Ente ai temi sollevati da ambientalisti e pescatori sui temi della sostenibilità dell’idroelettrico; un atteggiamento assai poco istituzionale e ancor meno rispettoso nei confronti di un movimento che ha sollevato questioni importanti e che ha saputo essere in questi mesi un interlocutore credibile e qualificato.

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