
Deliri olfattivi
Sveglie profumate e tappezzerie alla clorofilla, pastiglie anti-nicotina e shampoo al cioccolato. Un viaggio nei profumi della quotidianità attraverso guerre del bianco, lotte agli odori e venire meno dei confini fra bagno e cucina
di Giorgio Triani
Il bagno, come pratica e ancor più come luogo, è sempre stato il depositario dei profumi. Acque di colonia e saponi, shampoo e creme detergenti sin dalla loro ‘invenzione’ hanno infatti puntualmente accompagnato e regolato le abluzioni e caratterizzato gli ambienti domestici ad esse deputati. Quasi che solo lì, nel regno protetto degli odori corporali, perciò vergognosi, fosse lecito abbandonarsi al piacere olfattivo del profumo, conferire a una pratica salutare un tocco di ‘femminile’ voluttà. Prova é che in tutta l’antichità le indulgenze maschili ai profumi e ai bagni caldi, che di norma sono associati, vengono puntualmente stigmatizzate e perseguite dalle autorità.
Se Solone, ad esempio, proibì per legge l’uso dei profumi agli uomini, in epoca romana la contrapposizione tra virtù repubblicane e vizi imperiali aveva proprio nella passione per i profumi e per le thermae la sua unità di misura. Né la prospettiva muta risalendo il corso dei secoli. L’uso dei profumi, allo stesso modo dei colori e dei vestiti, resta infatti strettamente regolato dalle leggi suntuarie. Come un popolano non può portare il rosso cardinalizio, così l’ambra e il muschio, che erano profumi animali, sono prerogativa esclusiva della nobiltà.
Ma per guadagnare rapidamente i giorni nostri, una prima svolta liberalizzatrice si ha nell’Ottocento quando la rivoluzione igienica, combinata con le nuove possibilità della chimica e della produzione industriale, dilatano enormemente gli orizzonti cosmetici, ma anche socio-culturali, del profumo. L’Acqua di Colonia, con i suoi sentori freschi e leggeri, è il simbolo delle nuove sensibilitè, mentre il sapone s’incarica di tenerle continuamente ben lustre. «Sunlight» – ovvero luce del sole – , inventato da William Lever, capostipite della multinazionale del detersivo ancor oggi operante, è la perfetta traduzione di un mondo che intende il progresso anche come affrancamento dall’odore. Dunque ritiene normale non solo incitare alla pulizia soprattutto le classi lavoratrici, ma anche conferire una dignità nuova a pratiche sino ad allora ritenute di scarsa moralità.
Lavarsi, usare sostanze detergenti, profumarsi, per quanto con grande moderazione, uscivano infatti dal limbo di identità individuali e sociali incerte. Cessavano insomma di essere pratiche esclusivamente femminili e caratterizzanti, con poche eccezioni, donne di comprovata immoralità. Come Nanà, omonima protagonista del romanzo di Zola, il cui profumo evoca le «alcove oscure» cantate da Baudelaire. Insomma il bagno, quando non è freddo e veloce, o spartano come la doccia, continua a evocare scene di tentazioni e lussurie. Allo stesso modo sono sanzionati dal decoro e dalla decenza i profumi discreti che non allertano i sensi, ma invece sottolineano la pulizia. In ogni caso, nel corso di questo secolo, il diffondersi delle abitudini igieniche, dunque di dotazioni domestiche per la cura personale, ha sempre rispettato una precisa geografia spaziale e olfattiva all’interno delle case.
Cucina e bagno, sino a pochi decenni or sono ancora contigui, erano i soli luoghi di un’accettata dialettica odore-profumo, oltre che di un’incessante operazione di rimozione del primo e di esaltazione del secondo. Si trattasse infatti di preparare e assumere il cibo o di evacuarlo, di nutrire il corpo alimentandolo oppure pulendolo e ripulendolo, i ‘cattivi odori’ allo stesso modo dei ‘buoni profumi’ erano e sono al centro di una partita olfattiva che poteva giocarsi solo lì. Non è un caso peraltro che è in cucina e nella stanza da bagno che si è scatenata, e ancor oggi avviene, la «guerra del bianco»: colore sinonimo di pulizia e igiene. E che questa guerra sia stata, e sia, ferocemente detersiva e allo stesso modo allegramente profumata. Ai limiti di un vero e proprio delirio floreale che se non è la causa principale è certo uno degli elementi più visibili dell’attuale moda a vivere permanentemente nel profumo, e in case che a tutti gli effetti sono ormai delle profumerie.
Il fenomeno è curioso e variegato, ma si segnala soprattutto per alcune curiose inversioni. Ad esempio il fatto che gel, candele profumate, sacchetti di pot-purri, brucia incensi, emanatori di profumo trovino ormai posto in tutte le stanze. Ma singolareè anche che il the e il cacao s’accomodino in bagno, mentre in cucina s’impongono profumi sempre più stravaganti e cibi improntati più alle suggestioni della cosmetica che della dietetica. Paradossalmente e sia pure in forme nuove rispuntano le vecchie credenze che attribuivano agli alimenti la magica capacità di trasferire le proprie caratteristiche a chi li mangiava (tipo la carne o il vino rosso che fanno sangue; il latte che rende la pelle bianca, ecc.). La differenza con l’oggi è che ora questa magia è solo vegetale. Non diverso è lo spirito che promana da una serie di prodotti cosmetici che potrebbero essere mangiati, anziché usati come detergenti.
La crema da bagno al cioccolato è forse il migliore esempio che induce, per un verso, a riconsiderare la celebre e spregiativa espressione «mangia sapone», riferita alle popolazioni che hanno poca dimistichezza con l’acqua e viceversa molta con la sporcizia; e per l’altro a riattualizzare l’immagine di Poppea che fa il bagno in una vasca piena di latte d’asina.
Ma sul piano generale si osserva come il bagno, sempre nella doppia accezione di luogo e di pratica, abbia perso ogni prerogativa esclusiva in materia di profumo. E questo è un dato assolutamente nuovo e rivoluzionario. Non so quanto contingente o duraturo: staremo a vedere. Intanto però si può fare un primo censimento di questa trasformazione in corso, il cui dato saliente è che l’atto del profumare ha valore in sé e per sé, non avendo più, o solo in via accessoria, la funzione di coprire cattivi odori.
«L’elenco è lungo» come ha scritto un quotidiano: si va dalla sveglia che quando suona al mattino emana profumo di caff6egrave; alla conchiglia che attaccata al computer, sfruttando il suo calore quando è in funzione, può emanare l’essenza che si preferisce; o al dispensatore programmabile che rilascia all’interno degli armadi gli aromi adatti a ogni situazione. Avete la giacca che sa di fumo? Niente problemi: mettete la pastiglia anti-nicotina e al mattino dopo ve la ritrovate profumata di rose. Avete persone a cena e il risotto alla milanese vi è venuto un po’ spento? Per rimediare potete accendere il diffusore al sapore di zafferano.
E così via di menu in menu profumando l’atmosfera giusta e trasformando la vostra casa in quei giardini fioriti che erano il sogno della nobiltà settecentesca. Sorta di deliri olfattivi che il progresso tecnologico ha reso ora possibili, ma ancor più desiderabili in forza di un presente colmo di rischi e incognite, che sappiamo tutti avere un cattivissimo odore. Perciò da fuggire o compensare serrandoci nelle nostre abitazioni dalle pareti che sanno di bosco, di clorofilla. Soprattutto nella stanza da bagno che, anche all’interno della ‘casa profumata’ e per unanime convinzione dei cultori dell’aromaterapia, resta il luogo ove i pensieri sono più profondi e bisognevoli del colore/odore verde: ideale per trasmettere una sensazione di equilibrio e calma.
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