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Quando la goccia fa traboccare l’acqua. Della bottiglia

di Alberto Rugolotto


(fonte immagine)

Si può fare a meno dell’acqua in bottiglia? Yes, we can. Anzi,they can. ‘Loro’ sono i 2.500 cittadini di Bundanoon, località australiana a 120 chilometri da Sidney. Che hanno deciso, dopo una conclusione all’unanimità del consiglio comunale e un referendum popolare in luglio, di vietare la vendita di acqua in bottiglia, sia in plastica che in vetro. L’iniziativa ambientalista è stata lanciata da un commerciante della cittadina, Huw Kingston, che ha proposto di ritirare da qualsiasi negozio le casse d’acqua imbottigliata: a sostituirle, bottiglie vuote riutilizzabili e fontane pubbliche sparse lungo le vie del paese. Tutto gratis, s’intende.

L’idea non è nata per caso. Come sempre in circostanze del genere c’è sempre una scintilla che innesca la miccia o – più in tema – una goccia che fa traboccare il vaso. La svolta ambientalista è nata dopo la notizia che una società d’estrazione d’acqua voleva costruire uno stabilimento proprio a Bundanoon. Logica la domanda: che senso ha estrarre l’acqua da qui, trasportarla a Sidney per imbottigliarla e riportarla indietro per venderla ai cittadini locali? Tanto la qualità è la stessa, e poi il respiro ecologista si fa più ampio permettendo la contemporanea riduzione dell’inquinamento generato dal suo trasporto. E, se vogliamo, più respiro anche per il portafoglio.

Come in tante altre cose, nel nostro Paese nessuno si è ancora sognato di elaborare proposte simili. I dati parlano chiaro: l’Italia è la nazione dove si consuma più acqua in bottiglia, ben il 60% dei cittadini, 192 litri pro capite l’anno. Solo il 2% preferisce altra acqua, crediamo quella del rubinetto. Ma non è detto. Tuttavia, anche qui si ‘potrebbe’. Tuttavia esistono anche da noi iniziative meritorie e produttrici di risultati concreti.

È il caso della città di Arezzo, dove in 10 anni – dal ’99 ad oggi – il consumo di acqua in bottiglia si è quasi dimezzato, passando dall’80 al 46%. Nella zona dell’Alta Valdarno più della metà della popolazione, il 53%, si disseta regolarmente con l’acqua del rubinetto.

Vale la stessa regola dell’australiana Bundanoon: ci sono anche qui la famosa goccia e il vaso quasi traboccante. La clamorosa inversione di rotta, e di consumo, è partita 10 anni fa, quando la «Nuove Acque», una società mista composta da 36 comuni del Valdarno e il colosso Suez, ha preso in mano la gestione della rete idrica della zona. Nonostante la presenza di una multinazionale, che suscita sempre qualche perplessità, i risultati non sono mancati: i motivi trainanti sono stati il miglioramento della qualità dell’acqua – grazie alla ristrutturazione della rete e al perfezionamento del gusto; una campagna pubblicitaria mirata alla riscoperta e alla valorizzazione del prodotto del rubinetto.

È chiaro che in quest’ultima operazione il ruolo centrale è ricoperto dalla Suez, che ha avviato in collaborazione col comune l’iniziativa «Acqua in brocca» in numerose scuole del territorio.

Insomma, a tirar le somme: come dimostrano i casi di Arezzo e Bundanoon, per cambiare le cose è necessario che qualcuno prenda l’iniziativa. E questo qualcuno non sono certamente le istituzioni pubbliche, che al massimo si accoderanno in un secondo momento: società industriale o singolo cittadino, l’importante è proporre una soluzione per evitare o alleviare sprechi, consumi e inquinamento tranquillamente evitabili.

Per saperne di più:
www.bundyontap.com.au
www.nuoveacque.it
www.corriere.it

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