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Editoriale

di Giorgio Triani

Acque liberalizzate. Acque privatizzate. Con il decreto Ronchi si è nuovamente toccato con mano il paradosso tutt’italiano di interventi legislativi che riescono puntualmente a scatenare polemiche e conflitti più grandi di quelli esistenti prima che intervenisse la nuova legge o il nuovo decreto. Se non è masochismo è perversione, oppure le due cose insieme. Perché di «lodo» in «decreto» comincia a essere ormai chiaro che tanto più si mette mano a «riforme», evidentemente percepite come controriforme, tanto più si acuiscono le contrapposizioni e si aumenta la confusione relativamente ai termini reali delle poste e degli interessi in gioco.

Se infatti l’acqua diventa l’ennesimo terreno di scontro fra centro-destra e centro-sinistra, la minimizzazione degli effetti concreti (ad esempio sulle bollette che aumenteranno o sulla manutenzione delle reti che calerà) è speculare all’allarmismo di chi paventa l’arrivo del Grande Fratello come regolatore, alias privatizzatore, di tutti gli acquiferi e acquedotti nazionali. Ma davvero sarà così? Al momento si può solo ricordare e sottolineare che la rete acquedottistica nazionale fa acqua da tutte le parti, essendo un colabrodo, e a tutt’oggi governata essenzialmente dalla mano pubblica. Come si può allora sostenere che venendo meno questa si smetterà di investire nelle infrastrutture e che sarà automatico il peggioramento dei servizi idrici? Peggio di come si è gestita finora l’acqua sarà difficile fare. Di contro il privato non è sinonimo di efficienza, essendo peraltro fondato, perché basato sull’osservazione e l’esperienza, il rischio che anche nel caso dell’acqua si palesi una liberalizzazione all’italiana, cioè con vantaggi privatistici scaricati sulle spalle della collettività. Si pensi alla telefonia, alle telecomunicazioni e alle autostrade. Ma anche alla grande profittabilità dell’industria delle acque minerali, il cui business è costruito sullo sfruttamento di una risorsa pubblica pagata alla fonte quasi niente.

In questa prospettiva sarebbe meglio dismettere i furori ideologici, approfondire le questioni, attendere i decreti attuativi, vedere in concreto cosa succede e cosa si delinea. Insomma ragionare seriamente sulle politiche dell’acqua e su una governance che miri alla maggiore efficienza del sistema, attraverso un mix ottimale di pubblico&privato. Per quanto ci compete in questo numero ci limitiamo ad alcune veloci e generali considerazioni che servono soprattutto da benvenuto ai nuovi collaboratori, segnatamente le matricole del corso di giornalismo appena iniziato. Nel prossimo numero con interviste, schede e approfondimenti offriremo invece delle panoramiche che riguarderanno anche i principali paesi europei.

Chiudo con due informazioni di servizio. È in lavorazione uno «specialone» sul frigorifero, un elettrodomestico che ha una forte relazione con l’acqua, ma che è molto ricco di storie, di immaginario, di tecnologia. Oltre che di usi, costumi e consumi. Titolo provvisorio, ma programmatico, «la quinta stagione», che ci consentirà di affrontare temi accessori o collegati (dalla conservazione dei cibi con altre tecniche agli sport del ghiaccio destagionalizzati e delocalizzati in città). Cominciamo, in questo numero, con Emiliambiente, un viaggio all’interno delle «imprese dell’acqua». È anche questo il modo, per tornare all’argomento iniziale, di contribuire seriamente al dibattito sul «governo dell’acqua», fuori dagli schematismi della contrapposizione pubblico-privato.

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