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L’acqua. Bene pubblico o privato?

di Livio Lazzari


(fonte immagine: Paolo Nobile)

Un’alzata di scudi ha accompagnando il voto di fiducia al decreto Ronchi approvato alla camera dei deputati (320 voti favorevoli e 270 contrari) in materia di liberalizzazioni dei servizi idrici nazionali. Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua è stato ‘inondato’ da migliaia di e-mail di protesta contro l’articolo 15 della nuova normativa, che prevede l’affidamento a soggetti privati, mediante procedure ad evidenza pubblica, dei servizi pubblici locali.

Secondo il governo la legge va in direzione delle direttive imposte dalla comunità europea, ma è veramente così? In realtà il Parlamento europeo stabilisce che Stato, Regioni e Comuni, possano scegliere liberamente a chi affidare la gestione dei propri servizi, fermo restando che l’acqua «è un bene comune» quindi estraneo alle logiche del mercato e del principio comunitario di libera concorrenza. Allora perché il governo sta procedendo in questa direzione? Come stanno veramente le cose e come funziona la distribuzione idrica in altri paesi europei?

In alcuni paesi il servizio idrico è completamente pubblico, ad esempio in Olanda, dove l’acqua, la sua qualità ed il suo consumo sono costantemente monitorati. In altri, il servizio è misto, pubblico e privato. Ad esempio in Francia e Svezia. Qui alcune multinazionali, come la francese Voeil, gestiscono il servizio idrico di alcune città da quasi vent’anni, garantendo efficienza e qualità ma anche costi. La tendenza tuttavia sembra cambiare proprio oggi. Dal 2008 il Comune di Parigi (e con lui altri 50 in tutta la Francia) ha deciso di rimunicipalizzare il servizio idrico abbattendo così i costi delle bollette e garantendo una logica di totale trasparenza del servizio. In Portogallo il 12,15% dell’acqua è distribuita da privati ma qui le liberalizzazioni iniziarono nel 1993. Il servizio pubblico portoghese è gestito quasi esclusivamente da Epal, una società statale che garantisce in modo efficiente la distribuzione idrica in un paese a forte rischio desertificazione.

In Italia la prima Regione a privatizzare il servizio idrico fu la Toscana. Nel 2001 vennero creati sei distretti territoriali, ognuno con la su Spa, di cui i privati possono detenere il 49% delle azioni. L’efficienza della rete è migliorata, anche a fronte dell’ammodernamento delle strutture, ma le bollette sono aumentate, ad Arezzo un metro cubo d’acqua costa al contribuente 1,38 centesimi di euro al metro cubo, a Milano 75 centesimo di euro. Ogni famiglia paga in media 199 euro l’anno, più di ogni altra regione del centro nord. Gli investimenti poi, anche a fronte degli aumenti tariffali, non bastano e qui deve intervenire per forza di cose la Regione. Ma la Toscana ha anche un altro primato, in media le famiglie spendono 238 euro l’anno in acque minerali, un record europeo che la dice lunga sulla qualità dell’acqua dei rubinetti.

L’Italia ha per la sua stessa fisiologia interna profonde differenza. Al sud si sprecano migliaia di metri cubi l’anno a fronte delle stagionali emergenze di siccità e desertificazione. Nonostante i fondi statali ed europei, molti acquedotti sono vecchi e poco efficienti. Latina vanta il primato di città più sprecona, ogni cittadino spreca 692 litri d’acqua l’anno. Un altro triste record.

Di contro la Regione Puglia ha dichiarato in questi giorni la ripubblicizazzione dell’acquedotto pugliese, minacciando di ricorrere alla Corte Costituzionale contro il decreto Ronchi. Analoghe iniziative sono state prese a Palermo, Caserta, Napoli e in molti altri Comuni italiani. Sembra che il Governo si aspetti di pagare i debiti pubblici con le liberalizzazioni dei servizi. Ma non è detto che questa manovra approdi ad un esito felice.

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