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Pro e contro sulla privatizzazione dell’acqua

di Alessandro Giannotta


(fonte immagine)

Mercoledì 4 Novembre 2009 il Senato ha approvato il D.L. 135/09 sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali. Tanti sono i giudizi, favorevoli e contrario, in materia, tante le parole spese per chiarire o criticare la scelta del governo.

Tra queste, vi proponiamo qui di seguito l’opinione dell’assemblea delle organizzazioni dell’industria, dei trasporti, della scuola, del credito, del commercio e dei servizi, della sanità, degli inquilini, dei postali e dei pensionati della Cub, che riunita a Milano il 9 e 10 ottobre 2009 si è espressa per la difesa dell’acqua e contro la privatizzazione della sua gestione.

L’assemblea ha espresso forte preoccupazione per il processo di privatizzazione dell’intero ciclo delle acque (tra cui le fonti e le grandi infrastrutture idriche) avviatosi in alcune regioni. In questi mesi i cittadini hanno chiaramente espresso la loro contrarietà alla scelta di gestione privata dei rubinetti, avendo imparato dall’esperienza di altri Paesi del mondo e di alcuni comuni che l’ingresso dei privati nella gestione di un bene primario come l’acqua comporterà:

  • aumento delle tariffe;
  • minore tutela della qualità dell’acqua;
  • messa in discussione dei livelli occupazionali.

L’assemblea fa propria la posizione del comitato italiano per un contratto mondiale sull’acqua che sostiene che il malessere idrico italiano, a dieci anni dall’approvazione della Legge Galli, non dà alcun segno di guarigione. Anzi, si può rilevare che:

  1. i consumi domestici permangono a livelli eccessivi, quindi di spreco, se si pensa che l’Italiano medio consuma 213 litri al giorno d’acqua potabile mentre lo Svizzero si limita a 159 e lo Svedese si ‘accontenta’ di 119 litri;
  2. le perdite della rete di distribuzione continuano a superare il 30-35%, i livelli delle regioni del Sud con percentuali fino al 60%. In Svizzera ed in Svezia la percentuale si situa attorno al 9%, considerato il tasso di perdita ‘naturale’ al disotto del quale è difficile scendere;
  3. l’abusivismo resta diffuso in presenza di una scarsa pianificazione per quanto riguarda gli usi dell’acqua detta produttiva, cioè utilizzata per l’agricoltura, l’industria, l’energia ed altre attività terziarie. Mentre l’uso dell’acqua produttiva rappresenta il 75% dei prelievi e dei consumi d’acqua dolce del Paese, essa costituisce solo il 10% dell’acqua fatturata. Il 90% dell’acqua fatturata concerne l’acqua per usi domestici. Questo significa che, in Italia, l’acqua per l’agricoltura, per l’industria, per l’energia non «costa nulla» o pochissimo direttamente per gli operatori dei settori menzionati, ma costa moltissimo (non solo in termini monetari) alla comunità nazionale. Si tratta di una situazione paradossale quando si sa, peraltro, che le principali cause d’inquinamento e di contaminazione delle acque di superficie e sotterranee sono precisamente dovute agli attuali dissennati usi sia agricoli (l’irrigazione intensiva) che industriali;
  4. i rapporti pubblicati nel 2002 e 2003 dal Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e le inchieste effettuate da Legambiente e dal WWF, continuano a denunciare – è il termine appropriato – lo stato di deterioramento e di spoliazione delle acque italiane. Certo si è assistito in questi ultimi anni ad incoraggianti casi di recupero e di riabilitazione della ‘risorsa’ acqua, dovuti soprattutto all’impegno civico dei cittadini in lotta contro le scariche di rifiuti mal organizzate, le produzioni industriali non sostenibili, i progetti di trafori, di dighe e di autostrade ingiustificati o superflui, le aperture inidonee di miniere. Ciononostante, sempre più numerosi sono i fiumi che diventano torrenti o si seccano (casi recenti della Cecina e del Simbrivio, per non parlare del Po), i laghi che restano inquinati, i fiumi della zona alpina contaminati, i comuni e le province che non posseggono sistemi di recupero e di riciclo delle acque reflue, le province senza registri sugli usi agricoli e senza catasti industriali;
  5. pur essendo il 6° paese più industrializzato del mondo, l’Italia resta ad un livello basso di copertura territoriale dei servizi di fognatura e di depurazione che servono rispettivamente solo il 52,5% ed il 65% della popolazione. L’Italia si caratterizza, ancora oggi, come un paese ad elevata carenza di infrastrutture idriche, mancanza di adeguamento di quelle esistenti, scarsa manutenzione ordinaria e straordinaria;
  6. infine, l’Italia è il primo paese al mondo per consumo pro capite di acqua minerale e di sorgente in bottiglia (più di 180 litri all’anno per persona) pur sapendo che essa costa da 200 a 2000 volte più cara dell’acqua di rubinetto. Su influenza di una massiccia politica di mercificazione dell’acqua per bere perseguita dalle imprese capitaliste private, gli Italiani si sono fatti convincere che per bere è meglio bere l’acqua in bottiglia, perché – afferma la pubblicità – sarebbe più sana e più sicura per la salute, il che è del tutto mistificatore. Dopo la ‘petrolizzazione’ dell’acqua, ecco la ‘cocacolizzazione’ dell’acqua potabile, di cui l’Italia ha il privilegio di rappresentare il laboratorio sperimentale pi` avanzato al mondo.

Vengono presi in esame tutti gli sprechi di questa risorsa anche in campo agricolo, il continuo inquinamento di fiumi e laghi. Infine viene ricordato che l’acqua «in quanto fonte di vita insostituibile per l’ecosistema, l’acqua è un bene vitale che appartiene a tutti gli abitanti della Terra in comune. A nessuno, individualmente o come gruppo, è concesso il diritto di appropriarsene a titolo di proprietà privata».

La conclusione dell’assemblea è chiara e laconica: l’acqua, come patrimonio dell’umanità ,«non è paragonabile a nessun’altra risorsa: non può essere oggetto di scambio commerciale di tipo lucrativo».

Fonte: www.cubpiemonte.org

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