
Intervista all’autore Michele Dall’Aglio
di Laura Conforti
Michele, autore di I culti delle acque nell’Italia antica, vorresti raccontare a grandi linee il tuo percorso universitario e professionale?
«Sono un instancabile archeologo, laureato all’Università di Bologna in Lettere classiche, ho un perfezionamento in Archeologia classica e un dottorato di ricerca in Archeologia cristiana e tardo-antica, entrambi conseguiti sempre all’Università di Bologna. Durante e dopo gli studi la mia vocazione mi ha portato a compiere numerose attività di ricerca e scavo in tutta Italia. Al mio attivo ho articoli di carattere scientifico, collaborazioni con riviste specializzate, varie partecipazioni a convegni e conferenze, e due saggi: I Sarcofagi di III e IV secolo d. C. Problemi di iconologia e I culti delle acque nell’Italia antica. Il mio interesse si è sempre focalizzato sui linguaggi delle immagini nell’antichità e dei messaggi da esse veicolati.»
Soffermando l’attenzione su I culti delle acque nell’Italia antica, qual è il motivo che ti ha portato a trattare questo tema?
«È stata la casa editrice Angelini Editore a propormi di scrive un libro. Io presentai diversi temi; venne scelto questo. Dentro di me, se devo essere sincero, speravo che si optasse per un altro argomento perché quello dei culti delle acque era molto difficile e spinoso. Tra i problemi principali: la mancanza di dati e il fatto che numerosi luoghi di culto non sono mai stati analizzati dal punto di vista antropologico e archeologico, che costituiscono, entrambi, la chiave di lettura utilizzata nel mio saggio. »
Quanto tempo hai impiegato per realizzare il tuo saggio?
«La realizzazione è durata circa tre anni, tra raccolta di materiale bibliografico edito, ricerca personale recandomi direttamente in diversi luoghi italiani, dal parmense alla Sardegna, dall’Abruzzo alla Puglia, per arrivare alla stesura prima parziale poi definitiva.»
Quale criterio hai adottato?
«Una volta raccolto tutto il materiale necessario, ho iniziato una sorta di schematizzazione. Non è stato per niente facile per i motivi già esposti prima e perché la materia stessa del mio lavoro è per sua natura ‘sfuggente’. In ogni caso ho cercato di adottare una sorta di filtro per spiegare e far capire come i popoli antichi ‘vivevano’ l’acqua, individuando due filoni fondamentali: simbologia – divinità e viaggio nel tempo, nel senso più tradizionale del termine, cioè cronologico.
Per il primo, riguardo alla simbologia ho trattato tutti gli aspetti simbolici dell’acqua, prendendo in esame i fiumi e i mari come espressioni di passaggio interiore da uno stato all’altro della vita e di crescita. Viaggio per fiume o mare non dunque inteso solo come fisico e concreto, ma come esperienza dell’essere. È stata la volta della pioggia, elemento fecondatore della terra, poi delle acque stagnanti e palustri, simboli della morte, successivamente dell’acqua purificatrice, elemento primordiale da cui tutto nasce e che tutto crea. Infine sono giunto all’idromanzia, ovvero la lettura del futuro attraverso diversi modi di rapportarsi all’acqua, bevendola o usandola come schermo tra il sacerdote e la divinità, creando una specie di ‹mondo dello specchio›.
Per quanto riguarda le divinità mi sono soffermato su quelle principali del mondo classico. Ho scoperto durante le mie faticose ricerche che di alcune di esse oggi si ignora il legame importante che probabilmente originariamente avevano con l’acqua, come ad esempio il titano Briareo anche chiamato Egeone. Proprio questo nome è l’unica testimonianza che rimane del suo legame con l’acqua, appunto con il suo dimorare presumibilmente nel mar Egeo. Delle divinità più note e delle quali si hanno notizie certe gli esempi sono numerosi, basti citare Nettuno e la sua sposa Anfitrite, Eurinome, il vecchio del mare Nereo, il fiume Oceano e Teti, tutti dei simbolo della potenza generatrice dell’acqua.
Il filone del viaggio nel tempo tratta invece un preciso percorso cronologico che muove dal Paleolitico per arrivare ai giorni nostri. Attraverso esso sono riuscito a mettere in risalto ciò che è rimasto invariato nel tempo e ciò che è profondamente cambiato per quanto riguarda la concezione del mondo e del suo funzionamento che di conseguenza influisce sugli stessi culti legati all’acqua.
A questo proposito ad esempio ricordo come fino all’Età dei metalli l’asse principale dell’organizzazione civile è la donna, il che costituisce una cultura di tipo matriarcale, perciò il culto dell’acqua viene fatto all’interno di grotte, nei punti più inaccessibili, a testimonianza di una sorta di ritorno al grembo materno. Con l’Età del rame e soprattutto del bronzo l’asse si sposta dalla donna all’uomo e conseguentemente ciò influisce sul culto stesso: viene venerato il sole, divinità maschile che feconda la terra attraverso l’acqua, che continua comunque a conservare la sua prerogativa di potenza generatrice.»
Cosa hai scoperto e approfondito con questo saggio? Ritieni la tua esperienza di autore-saggista positiva?
«Da una parte ho scoperto che molti caratteri salienti dei culti delle acque si sono mantenuti inalterati fino ad oggi e che molti rituali che sembravano non aver nulla a che fare con l’elemento idrico in realtà sono strettamente connessi. Dall’altra mi sono reso conto dei profondi cambiamenti maturati nel tempo che rispecchiano davvero l’essenza proteiforme dell’acqua nel suo stesso essere ontologico. Ritengo la mia esperienza saggistica molto importante; essa ha rappresentato non solo un bel traguardo a livello personale, ma anche un iter di maturazione e banco di prova nel settore archeologico. »
Leggendo I culti delle acque nell’Italia antica ho notato che la trattazione scientifica sembra cedere il passo a un più profondo excursus letterario – mitologico, sei d’accordo?
«Senz’altro. Infatti parlo di ‘fonti letterarie’ cioè sorgenti di idee, di contenuti e di simboli, e il mito è protagonista proprio perché fornisce agli antichi una spiegazione del mondo circostante e del suo funzionamento. Il senso del sacro nell’antichità è davvero parte integrante della quotidianità, anzi è insito in essa. Basti pensare che qualsiasi ‘accordo’ era sempre siglato e sancito da un sacrificio o da un giuramento sacro in onore di Giove. Conseguentemente l’acqua, elemento importante e fondamentale per la vita, non faceva eccezione.»
Nel tuo saggio vengono affrontati due temi: i culti delle acque e le acque di culto. In che senso e perché?
«I culti delle acque trattano l’acqua come oggetto diretto del rito. Ad esempio nel pozzo Sacro di Santa Cristina in Sardegna si venerava l’elemento idrico come generatore di vita. Le acque di culto invece fungono da elemento funzionante ad un rito legato ad altro. Ad esempio a Veio c’è un santuario etrusco in cui, a fianco del tempio, si trova una vasca dove i fedeli dovevano immergersi, in segno di purificazione, prima di entrare all’interno del luogo sacro.»
Hai progetti futuri? Continuerai a trattare e approfondire ulteriormente questo tema?
«Su questo tema potrebbe darsi, dal momento che l’archeologia è molto vasta, e tanto ancora potrebbe essere studiato e, perché no, scoperto. Il mio saggio può offrire numerosi spunti di riflessione da poter comunque ulteriormente approfondire. Come ho scritto nella premessa se dovessi condensare questo libro in una frase, potremo dire che partiremo da una goccia, la semplice formula chimica H2O, sino ad arrivare all’oceano di idee e simboli in essa racchiusi. Un oceano, a mio avviso, potenzialmente infinito.»
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