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La nuova rubrica «Archeostorie»

I significati dell’acqua nel mondo antico

di Michele Dall’Aglio


(fonte immagine)

L’acqua, mai come nel mondo antico, è vita: la possibilità di avere accesso ad essa voleva dire poter bere, irrigare i campi e commerciare. L’elemento idrico, che appariva sotto forma di pioggia che dà vigore ai campi e purifica, di rugiada che disseta l’erba, di sorgente potabile o termale, di mare, di lago, di fiume, di pozza, o, ancora, come porta di un mondo misterioso, sia che si trattasse dei fondali o dell’aldilà. Inoltre l’acqua ci pulisce, ancora oggi, da ogni tipo di impurità sia fisica che morale. Numerosi significati rivestono l’elemento idrico e per questo l’acqua è stata oggetto di e per il culto.

È chiaro che molti popoli importanti avevano idee diverse riguardo l’elemento trattato e sarebbe impensabile riuscire a descriverle tutte, ma è altrettanto vero che la maggior parte dei simboli legati all’acqua sono comuni a molti popoli antichi. Riscontreremmo molte analogie, infatti, se dovessimo limitarci all’Italia antica, dove coabitarono le varie popolazioni autoctone i Punici, i Celti, i Greci e gli Etruschi. Per questi ultimi due popoli, come per i Romani, i fiumi erano dèi, figli di Oceano e padri delle Ninfe. Si poteva attraversarli solo dopo aver rispettato i riti della purificazione.

Il fiume era simbolo di fertilità, di rinnovamento continuo ed eterno della natura, dato che la sua corrente era vista come il ciclo perenne di vita – morte – vita. Arrivare alla foce di un fiume significava il ritorno all’indifferenziazione, mentre risalire alla sorgente indicava un ritorno al Principio da cui tutto si è originato. L’attraversamento figurava il superamento di un ostacolo e il passaggio da uno stato spirituale ad un altro. I mari, così come i fiumi, erano legati a divinità o erano dèi stessi, con l’unica eccezione di Oceano, che era considerato come un fiume che circondava le terre conosciute e limite invalicabile.

L’acqua marina simboleggiava la difficoltà e l’ignoto e l’attraversamento del mare per raggiungere un’altra terra era sempre considerato come il passaggio da uno stato d’essere ad un altro, in una sorta di maturazione iniziatica. Non è un caso, infatti, che tutti i grandi e mitici viaggi della tradizione classica siano avvenuti per mare e non per terra, basti pensare a quello degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro, a quello di Odisseo alla volta di Itaca e a quello di Telemaco, alla ricerca del padre, che viene tutt’ora considerato come un viaggio di formazione.

Le nuvole e la pioggia, come la rugiada, invece, sono la manifestazione stessa sulla terra delle acque celesti. In Grecia, nei Misteri Eleusini, dopo che ogni cosa era stata purificata con acqua, si levava il grido verso il cielo «Che possa scendere la pioggia», e poi ne seguiva uno diretto alla terra «Che tu sia feconda». D’altra parte questo aspetto della ierogamia (ossia delle nozze sacre) tra cielo, sotto forma di acqua piovana, e terra lo si ritrova anche nel mito di Danae, fecondata da Zeus sotto forma di pioggia dorata. Secondo la tradizione Danae era stata imprigionata in una torre altissima dal padre Acrisio, re di Argo, perché l’oracolo di Delfi predisse che sarebbe stato ucciso da suo nipote. Ma Zeus, invaghitosi della principessa, la sedusse trasformandosi in pioggia d’oro sottilissima. Il frutto di questa unione fu Perseo, che uccise il nonno involontariamente, colpendolo con un disco durante i giochi funebri indetti dal re Teutamide per il proprio padre.

L’acqua era anche vista come sostanza primordiale dalla quale nascono tutte le cose ed alla quale tutte le cose ritornano, diventando, perciò, la materia prima, l’indistinto primario, il simbolo della fecondità e della fertilità.

Testimonianza delle acque primordiali da cui nascono i mondi si trovano in numerosi miti. Nella tradizione orfica, ad esempio, si narrava che «… L’acqua era il principio di tutte le cose, poi dall’acqua si costituì il fango, e da entrambi fu generato un essere vivo, un serpente con l’aggiunta di una testa di leone, con il volto di un dio nel mezzo, e chiamato Eracle e Tempo. Questo Eracle generò un uovo immensamente grande che, riempito dalla violenza del genitore, per uno sfregamento si spezzò in due. La parte della sommità dell’uovo diventò il Cielo mentre la parte contenuta in basso divenne Terra…».

Il motivo del cosmo nato dalle acque si trova anche in un altro mito greco, che designa come origine il fiume Oceano, chiamato da Omero «origine di tutto». Inoltre è notevole un fatto: mentre le acque celesti, come la pioggia, hanno un potere fecondante, come lo sperma, l’acqua oceanica primordiale è germinativa, ricordando il liquido amniotico, e quindi sempre di valenza femminile, divenendo in tal modo il simbolo della Grande Madre.

L’elemento idrico, poi, come dimostrato anche dall’archeologia, è la sostanza magica e guaritrice per eccellenza. Non solo sana, ma può anche ringiovanire (basti pensare al tema della fonte dell’eterna giovinezza, molto diffuso anche nel medioevo) e assicurare la vita eterna, come nel caso del battesimo cristiano. In questa acqua, per lo più di fonte, vi è la vita, la forza e l’eternità ed è, conseguentemente, custodita da mostri in luoghi quasi irraggiungibili, protetta da divinità o demoni gelosi, che la dispenseranno solo a chi ha superato tutte le prove.

Logicamente se l’acqua pura della sorgente viene contaminata perde i suoi benefici e può trasformarsi in dispensatrice di morte: è, quindi, normale che proprio presso le fonti si facessero riti di magia nera per procurare malattie, evitare nascite e distruggere i raccolti. Di norma comunque l’acqua delle sorgenti è pura e conseguentemente viene usata per riti di purificazione tramite immersione o aspersione, come fece Corineo, che «… girò tre volte fra i compagni con acqua lustrale / irrorandoli con lievi stille da un ramo di fecondo ulivo / e purificò gli uomini…».

Il meccanismo della purificazione è lo stesso che troviamo ancora oggi nel sacramento del battesimo: tutto viene annullato nell’acqua e per mezzo di essa, è come un ritorno nel grembo materno per poi tornare a nascere nuovamente, liberi da ogni peccato. Fin dall’antichità le immersioni, le aspersioni e anche le abluzioni liberavano gli uomini da colpe e dalla presenza dannosa dei morti . Proprio per questi motivi, anche i Celti erano soliti immergere i bambini appena nati nelle acque dei fiumi.

Un rito analogo lo troviamo ancora oggi a Isola, nel Parmense, dove in luglio vengono portate in processione da Compiano fino al greto del Taro le statue della Vergine e di S. Rocco; dopo la benedizione, i fedeli si bagnano nelle acque del fiume, che, secondo la leggenda, nel 1630 avrebbe liberato gli abitanti dalla peste esondando. Non si sa se questa sia la sopravvivenza di un culto idrico antico o se risale al ‘600, bisogna comunque notare che la guarigione dall’epidemia sembra essere un diluvio universale in miniatura. In effetti il tema della purificazione lo troviamo poi anche in tutte le leggende dei diluvi universali.

Le caratteristiche di questo mito sono le stesse in ogni parte del globo, sia che si parli di Utnapìshtim, Gilgamesh, Noè, sia che si tratti di Pirra e di Deucalione. Quest’ultimo diluvio fu provocato da Zeus per punire i figli di Licaone, civilizzatore dell’Arcadia e istitutore del culto di Zeus Liceo, dai quali fu accolto come mendicante. Essi gli offrirono una zuppa in cui le interiora ovine erano mescolate a quelle del loro fratello Nittimo. Zeus, ovviamente, non fu ingannato, rovesciò la tavola e li trasformò tutti in lupi e ridiede la vita al morto. Ritornato sull’Olimpo pieno di disgusto, scatenò il diluvio, che avrebbe dovuto cancellare completamente il genere umano. Ma Deucalione, re di Ftia, avvertito da suo padre Prometeo, costruì un’arca, la riempì di vettovaglie e vi salì con sua moglie Pirra. Dopo aver vagato sulle acque per nove giorni, l’imbarcazione si posò, placata la furia, sul monte Parnaso.

Deucalione, rassicurato da una colomba mandata in perlustrazione, sbarcò con Pirra e offrirono un sacrificio a Zeus Padre, protettore dei fuggiaschi e andarono a pregare nel santuario di Temi. Là avrebbero ricevuto un oracolo che gli avrebbe consentito di rifondare il genere umano, lanciando delle pietre. In ogni caso Pirra e Deucalione non furono gli unici sopravvissuti al diluvio. Infatti anche Megaro, Cerammo e gli abitanti di Parnasso riuscirono a salvarsi in vari modi.

Ad eccezione degli altri diluvi va detto che quello greco ebbe scarso successo, dal momento che i Parnassi continuarono i sacrifici umani antropofagi di Licaone. In comune, però, tutti i diluvi hanno la funzione purificatrice per una grave colpa degli uomini e il tema della navigazione, che, nelle sue innumerevoli versioni e contesti, è sempre il mezzo per rigenerarsi spiritualmente e giungere ad una dimensione superiore.

Ma l’acqua non è soltanto simbolo di vita: come tutte le cose ha due aspetti, dei quali uno positivo e l’altro negativo. Anche l’elemento idrico ha il suo aspetto oscuro, caratterizzato dalla morte. Se i caratteri vitali dell’acqua sono dati dal movimento come corrente del fiume, zampillo di sorgente, pioggia e così via, quelli funerari sono dati dall’assoluta immobilità.

Ecco quindi l’apparire di luoghi di culto presso paludi e laghi dal colore scuro, sedi di presenze terrificanti e pericolose o, se cristallini, di entità giustiziere e oracolari per gli uomini. D’altra parte bisogna anche aggiungere che presso molti popoli la morte era concepita come una partenza sull’acqua. La figura mitologica che balza subito in mente è Caronte, che traghetta le ombre dei morti sulle acque limacciose dell’Acheronte.

Comunque se le acque delle paludi, luoghi assai insalubri specialmente nell’antichità, non erano velenose, per giustificare il fatto che erano luoghi inabitabili erano patria di mostri. Esempi di ciò li troviamo nei miti dell’idra e degli uccelli stinfali. La prima era figlia di Echidna e di Tifone e abitava nella palude di Lerna. Il mostro aveva un corpo di cane e otto o nove teste serpentine, delle quali una era immortale ed era talmente velenoso che il suo solo respiro e la puzza delle sue tracce potevano uccidere. Eracle, mandato a Lerna da Euristeo, dietro il consiglio di Atena, costrinse l’idra ad uscire dalla tana e, dopo averla tempestata con frecce infuocate, l’assalì trattenendo il fiato. Dal momento che le teste mozzate del mostro ricrescevano, Eracle chiese l’aiuto di Iolao, che, con rametti infuocati, cauterizzava le ferite dell’idra bloccando la rigenerazione delle teste. Infine, Eracle riuscì a tagliare anche la testa immortale, liberando il territorio di Lerna dall’idra. Simile è il secondo mito in cui l’eroe, dotato di nacchere di bronzo e di arco, dopo aver fatto alzare in volo gli uccelli Stinfali, che avevano becchi ed artigli bronzei, ne uccise a dozzine.

Tali caratteri delle paludi, sedi di mostri, rimasero nel folklore anche in età successiva. Ad esempio la maggior parte delle leggende romagnole relative ai draghi si ricollega alle acque stagnanti e morte, la cui bonifica coincide con l’eliminazione del mostro da parte del cavaliere. Ecco, quindi, schematizzato, a grandi linee, il pensiero antico legato ad un elemento multiforme e sfuggente.

Cercare di capire il sentimento degli antichi verso l’acqua ci può aiutare oggi ad averne più cura e rispetto, in un mondo in cui se ne sente sempre maggiormente bisogno, dove ci sono nazioni intere che muoiono di sete e dove la desertificazione è sì legata ai cambiamenti climatici, ma è altrettanto connessa ad una cattiva e spregiudicata gestione delle risorse idriche. Il rispetto per l’acqua è amore per l’umanità e per la terra.

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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