
Navi da ricordare. I Bucintori sul Po
Otto secoli di costruzioni navali
Il Bucintoro, nave lusoria (da divertimento) e rappresentanza, appare a Venezia prima dell’anno 1000: il doge Pietro Orseolo arma nel 998 una grande galea dorata a due ponti, lunga 1000 piedi veneti (mt. 34,55) con 42 remi e 162 vogatori. La tradizione di una nave dogale, particolarmente sfarzosa e ricca di intagli e dorature da usare nelle grandi feste dello Sposalizio del Mare e della Sensa ( Ascensione) si perpetua così nel tempo, allorquando l’usura dei materiali rende necessaria una nuova costruzione, ogni 70-100 anni.
Abbiamo notizie storiche certe, insieme a numerosi dipinti e descrizioni, degli ultimi tre Bucintori: quello del 1526, intagliato da Jacomo de Bianco, al quale accenna Marin Sanudo nei Diari; quello del 1606, intagliato dai fratelli Vannini di Bassano; quello del 1719, opera dell’architetto navale Stefano de Zuanne de Michel per il doge Ludovico Manin. Gli ultimi due, quello secentesco e quello settecentesco, sono stati ampiamente studiati dalla storica dell’arte Lina Urban.
Un grande modello del Bucintoro settecentesco è esposto al Museo Storico della Marina Militare di Venezia ed ha fornito quote e riferimenti per l’attuale progetto di ricostruzione, in opera ai cantieri di Pellestrina. Un recente Convegno a Venezia, Con il legno e con l’oro ha documentato la presenza di materiale statuario e di decorazione attribuibile al Bucintoro del 1729, salvatosi dalla demolizione delle strutture e il successivo rogo dello scafo, avvenuti ad opera dei Francesi occupanti dopo il 1798.
Da Venezia l’uso di navi lusorie si diffonde risalendo il Po e i suoi affluenti per tutta la pianura padana. La presenza di «bucintori» è segnalata in documenti scritti e iconografici sin dal XV secolo: sono imbarcazioni di lusso – anche se di minori dimensioni di quelle veneziane – ricche di sculture, dorature, tappezzerie, e sono munite di cabina (tiemo in veneziano) con cristalli, atte ad ospitare i sovrani degli Stati rivieraschi e i loro ospiti. Bucintori vengono usati in occasione di feste fluviali, matrimoni, funerali, dagli Sforza, dai Gonzaga, dagli Estensi, dai Cardinali legati dello Stato Pontificio, dai Savoia.
Michel de Montaigne, in occasione del viaggio a Ferrara degli anni 1580-81 ricorda: «vedemmo anche il bucintoro che il duca ha fatto costruire sul modello di Venezia per condurre sul Po la sua nuova moglie, bella e troppo giovane per lui …». Il duca è Alfonso II d’Este, la moglie Margherita Gonzaga.
È appartenuto ai Savoia – che lo avevano ordinato nel 1731 ai Maestri della Fraglia veneziana degli intagliatori – l’unico bucintoro giunto sino a noi, realizzato su scafo di peota e lungo 16 mt. Le statue in cirmolo, dorate, sono state intagliate da due artisti – Matteo Calderoni ed Egidio Goyel – che avevano partecipato all’allestimento dell’ultimo Bucintoro dogale del 1729.
Di certo, nella crisi economica che investe Venezia tra il XVII e il XVIII secolo, per l’apertura delle rotte oceaniche, e quindi l’abbandono graduale di galee e galeazze a favore delle navi tonde da trasporto prodotte in Nord Europa, la produzione di bucintori, peatoni dorati e gondole permise ai cantieri veneziani una boccata d’aria, che almeno rallentò la crisi delle grandi costruzioni navali dell’Arsenale, ormai obsolete. A Modena, nel 1850, l’ultimo duca Francesco V ebbe ancora un bucintoro, nominato «il più Tremendo».
* L’autore Luigi Griva è Conservatore del Museo Navale di Carmagnola (Torino).
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