
Il culto dell’acqua in Sardegna
di Ileana Lecca
Non sempre chi posa lo sguardo sulla terra sarda scorge oltre a paesaggi incontaminati e selvaggi, alle candide spiagge e limpide coste, il fascino di una cultura leggendaria e arcaica. La Sardegna è infatti un’isola in cui le tradizioni, i miti e le credenze prendono ancora vita grazie alla testimonianza dei vecchi, che le tramandano attraverso i loro racconti. Queste donne e questi uomini ci permettono di conoscere le storie più remote, misteriose e affascinanti dell’isola che altrimenti andrebbero perse per mancanza di una solida documentazione scritta. Dalla saggezza e dall’esperienza dei tanti nonni conosciamo i culti pagani dei defunti, della religione e della magia, i riti della fecondità e della à della natura, degli animali, i valori del rispetto e dell’orgoglio per la propria identità, e una grande devozione per l’acqua.
Certamente la devozione dell’acqua è stata influenzata dall’aridità del territorio che sin dalla storia antica danneggia e consuma l’economia e la vita sociale dei popoli sardi; ma altresì dall’arte della navigazione che permetteva interessanti scambi commerciali con le altre civiltà. Così abbiamo prove certe sull’importanza dell’acqua dall’etè nuragica (1700 a.C. al II secolo d.C.) con i suoi monumenti, i pozzi sacri, le ceramiche, i caratteristici bronzetti votivi; ai tempi immediatamente successivi alla seconda Guerra Mondiale con sorgenti e fontane ritenute miracolose, la meticolosa raccolta dell’acqua piovana nella brocca (sa mariga), le preghiere e i canti: da sempre i sardi venerano questo elemento e gli conferiscono i più straordinari poteri magici e terapeutici.
Grazie al libro I Sardi. Un popolo leggendario (di Bonaria Mazzone, Carlo Delfino Editore, 1995) possiamo osservare più da vicino alcune di queste particolari credenze. Nella provincia di Nuoro, nel territorio che prende il nome di Marghine, e in quella di Oristano si eseguiva, fino a una cinquantina di anni fa, un rituale invocativo alla divinità dell’acqua chiamata Maimone (nome di origine semitica che significa «Acqua di Baal»): spirito benefico e propizio apportatore delle piogge; in altre zone della Sardegna simboleggia la paura, i vizi e la miseria divenendo una maschera tipica del carnevale isolano.
In un piccolo paesino del Marghine, Dualchi, nei periodi in cui le piogge scarseggiavano e la siccità incombeva, gli abitanti ricorrevano ad un particolare cerimoniale: quattro legnetti legati insieme a formare una croce sbilenca ricoperta poi da rami di pervinca, in modo da ottenere una marionetta che rappresentasse il Maimone. Seguiva una processione con il feticcio per le vie del paese, accompagnata da una litania per invocare la pioggia:
Maimone Maimone,
abba cheret su laore,
abba cheret su siccadu,
Maimone laudau.
(Maimone Maimone,
chiede acqua il frumento,
chiede acqua il campo secco,
Maimone sii lodato)
Allo sfilare del corteo le donne gettavano dalle loro case gocce d’acqua sulla feticcio per auspicare la pioggia provvidenziale. Ancora oggi gli anziani ci assicurano sull’efficacia del rituale. Prezioso per la cultura era anche il mistero e la magia celati dietro le fonti. Non possedendo l’acqua corrente in casa la gente la raccoglieva alle fonti, ma mai dopo l’Ave Maria, cioè dopo il suono delle campane alle otto di sera. Vi era infatti la convinzione che dopo il calare del sole l’acqua fosse sorvegliata da tenebrosi spiriti maligni. A questa raccomandazione si aggiungeva il dovere (ancora oggi sentito) di farsi sempre il segno della croce prima di bere da qualsiasi fonte o sorgente campestri.
Secondo le credenze, la notte gli spiriti dimoravano pure sulle rive dei fiumi, dove le donne andavano a lavare la biancheria. Erano spiriti di donne morte durante il parto (panas o partorzas) che, come anime dantesche costrette al contrappasso, sono condannate a lavare i panni dei loro piccoli per sette anni, o spiriti vagabondi la cui pena era abitare i fiumi o le fontane. Le signore del paese si recavano nei fiumi allo spuntar del sole per evitare di incontrare le anime, alle quali era vietato rivolgere una sola parola per timore di maledizioni ma anche per rispetto della penitenza dello spirito.
È anche questa la Sardegna: una terra in cui anche un elemento povero ma prezioso come l’acqua può essere divinizzato e accostato a credenze magiche. Ma soprattutto rispettato.
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