
Mosè separò le acque, la scienza le richiude
di Cristina Ricotta
Ancora una volta Scienza e Religione contro. L’esodo di Mosè e del popolo ebraico, il miracolo della divisione delle acque del mar Rosso: quanto c’è di vero in questo episodio del Vecchio Testamento? Ecco come la scienza cerca di spiegare uno dei miracoli più straordinari della storia della religione cristiana, capovolgendo quello che per millenni è stato un credo comune che fin da piccoli abbiamo appreso alle lezioni di catechismo.
Di recente un’equipe di scienziati americani guidati da Carl Drews del Centro per la National Atmospheric Research, con l’aiuto di un computer sofisticato nei calcoli e nelle rilevazioni, ha scoperto che la fuga del popolo ebraico attraverso il Mar Rosso è dovuta a un fenomeno atmosferico. Così viene riportato nel Libro dei Libri: «Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore, durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente rendendolo asciutto; le acque si divisero». Dunque, esclusa l’ipotesi di un uragano, il solo agente atmosferico capace di far ‘aprire’ la massa d’acqua del mar Rosso è proprio il vento il protagonista del miracolo biblico.
Lo studioso del Colorado, infatti, attraverso una simulazione virtuale, ha riproposto le medesime condizioni atmosferiche di quanto è riportato nelle Sacre Scritture: un vento di 100 km/h che spirasse da oriente per 12 ore consecutive avrebbe formato un ‘ponte’ di terra lungo 5km e largo 3 per ben 4 ore, tempo sufficiente per consentire il passaggio di Mosè e del suo popolo e il conseguente inseguimento delle truppe faraoniche.
Passaggio che, però, non sarebbe avvenuto attraverso le acque del Mar Rosso. Secondo quanto spiega Drews, infatti, se l’avvenimento è davvero accaduto, non si è svolto in prossimità del mar Rosso (secondo la simulazione di Drews il vento proverrebbe dalla parte sbagliata). Sulla base del racconto biblico, si sarebbe trattato del lago «di canne», meglio conosciuto come Lago Manzala nel nord dell’Egitto. Qui il vento, soffiando da est verso ovest, avrebbe fatto sì che le acque del Manzala trascinassero con sé detriti e sedimenti per poi farli depositare sul fondo creando, così, una sorta di ‘passerella’ che consentisse la traversata del popolo ebraico.
Spiega il professor Drews: «la separazione della acque può dunque essere attribuita alle leggi della fisica e alla dinamica dei fluidi. Molta gente si è chiesta se la storia dell’Esodo è basata su fatti storici e il nostro studio suggerisce che la narrazione biblica è perfettamente verosimile». Insomma che si sia trattato di un’opera di Dio o della natura? Ai posteri l’ardua sentenza!
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