
La vie qui continue
di Silvia Parmeggiani
Nella foto: Goffredo Modena, Presidente di «aiutare i bambini», insieme a Richard Feukeu, referente della Fondazione ad Haiti, durante un recente incontro in Italia.
È passato un anno dal disastro di Haiti, quando quattro fortissime scosse sismiche colpirono l’isola devastandola. L’intensità del sisma ha trasformato la capitale, Port-au-Prince, in un cumulo di rovine. Uno dei Paesi più poveri del mondo ha visto il mondo cadere, il cemento cedere come carta velina. Migliaia le vittime, 32 le scosse, 7 l’intensità della scossa misurata sulla scala Richter, 10 i km di profondità. Partono gli aiuti umanitari, il tentativo di salvare qualche miracolato. Poi la ricostruzione ma, come vedremo, non sarà abbastanza. C’è un report, quello di Medici senza frontiere, che comunica che in un anno gli aiuti umanitari si sono rivelati un fallimento. C’è anche un video: un’inchiesta in cui viene seguito il lavoro di 5 cronisti haitiani che denunciano l’operato di alcune associazioni catturando l’attenzione sul fatto che sono gli haitiani a sapere quel che serve alla loro terra, al loro popolo e non gli stranieri.
Ma prima di tutto c’è un popolo, la migrazione, la ricostruzione, il colera, l’acqua non potabile. Haiti un anno dopo sembra ancora un campo di battaglia ma le associazioni che lavorano bene laggiù non mollano il loro operato. La popolazione sa di cosa ha bisogno e ci sono onlus pronte ad ascoltarle. Serve acqua potabile? Bene. Vi mandiamo 200 kit di depurazione dell’acqua. È quello che ha fatto l’associazione «aiutare i bambini» che lavora tramite le segnalazioni dei corrispondenti locali. «La situazione da queste parti è grave. È la prima volta che il colera colpisce Haiti. Per fermare l’epidemia dobbiamo subito comprare i kit per purificare l’acqua», li ha informati così Richard Feukeu, il loro referente haitiano. E da questa richiesta d’aiuto è partito il progetto, la ricerca di donazioni e l’effettiva spedizione dei 200 kit di purificazione. Cosa hanno permesso di fare questi kit? A spiegarcelo Goffredo Modena, presidente dell’associazione «aiutare i bambini».
Avete distribuito ad Haiti 200 kit per la purificazione dell’acqua. In quale zona? A chi erano destinati?
«Il nostro intervento contro il colera ad Haiti si è concentrato a Praville, quartiere della città di Gonaives localizzata nella regione dell’Artibonite, tra le più colpite dall’epidemia. Qui abbiamo distribuito 200 kit per la purificazione dell’acqua a 180 famiglie, 4 scuole, 3 chiese, 2 orfanotrofi e 1 centro sanitario presenti nella comunità, coinvolgendo nel complesso 3.000 persone di cui quasi due su tre sono minori. Le famiglie beneficiarie dell’intervento sono state selezionate cercando di privilegiare quelle più povere e più a rischio del quartiere, in base alle indicazioni dei leader comunitari o delle strutture ospedaliere del posto.»
Nella foto: una famiglia della città di Gonaives mentre utilizza il kit per la purificazione dell’acqua donato da «aiutare i bambini».
Qual è il contenuto di ogni kit?
«Il kit di purificazione dell’acqua è composto da un contenitore con filtro antibatterico interno. Il suo funzionamento è semplice e veloce: l’acqua sporca versata nel contenitore esce attraverso un rubinetto pulita e potabile, grazie all’azione del filtro all’interno. In questo modo l’acqua viene purificata al momento del bisogno, senza dover essere stoccata con il rischio di un contagio successivo. Il filtro resiste per un anno, per una media di 1000 litri filtrati al giorno, e si pulisce una volta alla settimana utilizzando una siringa, compresa nel kit, per asportare i residui. Ogni kit ha un costo di 60 euro: abbiamo potuto acquistarne 200 grazie al generoso contributo di molti nostri donatori che abbiamo sensibilizzato su questa nuova emergenza che ha colpito Haiti.»
Grazie a questi kit i casi di colera, nel quartiere di Praville, sono diminuiti. Può spiegarci come si è arrivati a tutto questo dopo il terremoto? Cosa è successo? Quanto ha inciso la mancanza d’acqua potabile?
«Prima di avviare la distribuzione dei kit, secondo i dati raccolti sul posto da Richard Feukeu, referente ad Haiti della Fondazione ‹aiutare i bambini›, nel quartiere di Praville erano già stati 5 i decessi e quasi 70 le persone ricoverate in ospedale a causa del colera. Da quando è partita la distribuzione dei kit, a dicembre 2010, l’emergenza è rientrata perché la gente non fa più uso di acqua contaminata, uno dei canali attraverso i quali il colera si diffonde.
Nella foto: Richard Feukeu, referente di «aiutare i bambini» ad Haiti, mostra il differente aspetto dell’acqua prima e dopo l’azione del filtro antibatterico.
Grazie ai kit non si sono registrati nuovi casi di decesso e i 20 nuovi casi di contagio verificatisi sono stati subito diagnosticati e le persone colpite ricoverate d’urgenza, scongiurando il rischio di morte. Per la prevenzione è stata molto importante anche l’attività di sensibilizzazione: ai bambini e alle famiglie abbiamo spiegato come curare la propria igiene personale, come evitare il contagio, come utilizzare al meglio i filtri ricevuti.
L’epidemia di colera è stata possibile anche per via delle condizioni precarie della popolazione dopo il terremoto: a Port-au-Prince, la capitale, tanta gente vive ancora in tendopoli fatte di rifugi improvvisati, dalle strade non sono ancora state completamente rimosse le macerie. Senza contare che Haiti era un paese già poverissimo prima del terremoto e privo, soprattutto in quartieri urbani periferici come Praville, di adeguate infrastrutture idriche e di acqua potabile.»
Dopo il disastro la ricostruzione. E una maggiore attenzione alla purificazione dell’acqua. Come si sono mosse le associazioni come la vostra?
«Può sembrare assurdo a più di un anno dal terremoto, ma la ricostruzione in senso stretto è ancora lontana. È mancato infatti finora un coordinamento forte degli aiuti, che può essere assicurato solo dal governo nazionale. Negli ultimi mesi la situazione è bloccata, perché come sapete bisognerà aspettare il ballottaggio previsto a febbraio per avere sull’isola un nuovo governo.
Noi siamo una piccola organizzazione, che con le risorse che ha a disposizione realizza interventi limitati, ma concreti. La nostra presenza non è tale da essere risolutiva rispetto a grandi emergenze come quella del terremoto ad Haiti, ma quando interveniamo lo facciamo in modo efficace e portando un significativo miglioramento della qualità di vita. Non abbiamo personale espatriato, ma contribuiamo a coprire i costi di attività a favore dei bambini gestite nei paesi più poveri da organizzazioni locali: case di accoglienza, asili, scuole, mense, programmi di assistenza sanitaria, realizzazione di pozzi e impianti idrici. Siamo presenti in questo modo in più di 60 Paesi.
Dopo la tragedia del gennaio 2010, ci siamo mossi assicurandoci per prima cosa che le nostre controparti ad Haiti fossero sane e salve e che le attività da noi sostenute negli anni precedenti (due scuole: una a Gonaives, l’altra ad Hinche) non avessero subito danni. Nelle settimane successive abbiamo ripreso a sostenere le due scuole, che avevano entrambe bisogno di un aiuto straordinario per poter accogliere decine di bambini fuggiti dalla capitale. Successivamente, mesi prima dell’epidemia di colera, dopo aver constatato che nel quartiere Praville di Gonaives dove sorge anche la scuola mancava l’acqua potabile, abbiamo deciso di finanziare la realizzazione di 5 pozzi e 5 latrine comunitarie, oltre che corsi sull’igiene domestica e il corretto utilizzo dell’acqua. Quest’ultimo aspetto è importantissimo: non basta infatti realizzare infrastrutture, è necessario anche sensibilizzare la popolazione sulla loro importanza, insegnare come vanno usate e formare persone che diventino responsabili della loro manutenzione. Infine, abbiamo finanziato a Port-au-Prince l’acquisto di un generatore di corrente per il centro sanitario-nutrizionale ‹Rosalie Rendu›.»
Sulla stampa è stata riportata a più riprese una polemica scaturita tra Haitiani e le associazioni di volontariato che stanno lavorando alla ricostruzione di Haiti. È davvero così la realtà haitiana? Voi che vi siete recati in loco come vedete questa situazione e le loro richieste? Cosa vorrebbero gli haitiani? Quali sono le loro priorità adesso?
Nota per il lettore: secondo quanto riportato sulla stampa estera e italiana, gli haitiani non vogliono che le associazioni decidano dove usare i fondi raccolti ma chiedono un loro coinvolgimento per risolvere i problemi più urgenti. C’è anche un video-inchiesta che circola in rete Goudou Goudou: le voci ignorate della ricostruzione che denuncia questa situazione. E che vi proponiamo, nella versione trailer, qui: www.goudou-goudou.net.
«A settembre 2010 Arianna Plebani, la nostra Responsabile progetti America Latina, ha potuto constatare durante la sua missione di monitoraggio ad Haiti che a Praville erano già stati ultimati 2 pozzi e 2 latrine da noi finanziati. La delusione e la rabbia della popolazione di Haiti è comprensibile. Nel nostro caso però, per la natura stessa dell’aiuto che come Fondazione possiamo assicurare, la collaborazione e il coinvolgimento della popolazione locale è imprescindibile. I nostri interventi infatti non sono decisi in primis da noi, ma partono da organizzazioni che operano in loco, gestiscono attività di risposta ai bisogni della comunità di riferimento e ci chiedono un aiuto per realizzarle. In questa logica va inquadrata anche la nostra presenza nel quartiere Praville di Gonaives: il sostegno alla scuola, la costruzione di pozzi e latrine, l’intervento di prevenzione del colera sono stati pensati e resi possibili insieme alla nostra controparte locale – l’Associazione S.O.S. Solidarité Haiti – con cui collaboriamo da anni. Insieme abbiamo dato vita ad un vero progetto di sviluppo comunitario, non una semplice risposta all’emergenza.»
Haiti un anno dopo: il report (clicca qui per consultare il pdf) di Medici senza frontiere denuncia fallimento degli aiuti (il colera così diffuso ne è una prova). Siete d’accordo con questo report? Cosa devono fare le associazioni adesso? Qual è il vostro compito?
«Fatto salvo quanto detto prima sulla nostra modalità d’azione, e fatta salva l’opera meritoria di Medici Senza Frontiere, non crediamo che sia corretto parlare in modo così netto di fallimento degli aiuti. Ci sono organizzazioni che sono specializzate nel portare aiuto durante l’emergenza: queste organizzazioni dopo il terremoto ad Haiti hanno avuto l’importantissimo ruolo di assicurare cibo, acqua, accoglienza e assistenza sanitaria alla popolazione colpita, grazie alle donazioni arrivate da tutto il mondo. Successivamente all’emergenza, è necessario ricostruire: ed è in questa fase, ad Haiti come in altri contesti, che si incontrano forse le difficoltà più grosse. Perché è necessario il coinvolgimento e la volontà delle autorità locali e dei governi, che spesso sono i primi a non rappresentare e non coinvolgere la popolazione. Basti vedere, per restare ad Haiti, le polemiche sui brogli elettorali. Ma è proprio qui che noi giochiamo il nostro ruolo, non essendo attrezzati per interventi di emergenza. Per questo continueremo a sostenere lo sviluppo, a partire dai bisogni locali e a fianco di chi è sul campo tutti i giorni, con funzione di stimolo – dove opportuno – rispetto alle risposte da dare. Una formula che per noi è vincente, perché efficace.»
Goffredo Modena è presidente dell’associazione onlus «aiutare i bambini» (sede a Milano, in via Ronchi 17). Dal 2000 opera con lo scopo di dare un aiuto concreto ai bambini poveri, ammalati, senza istruzione, che hanno subito violenze fisiche o morali e garantire loro l’opportunità e la speranza di una vita degna di una persona. In dieci anni di attività, «aiutare i bambini» ha sostenuto più di 650.000 bambini, finanziando oltre 670 progetti di aiuto in 67 Paesi e verifica direttamente l’effettivo avanzamento di ciascun progetto, tramite l’invio di esperti e di volontari sul campo che possono toccare con mano i risultati raggiunti grazie alla solidarietà. Per informazioni: www.aiutareibambini.it.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.