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Italia, che sprecona!

di Valentina Maria Teresa Fiume

 

 

16 Giugno 2011. Il referendum sull’acqua l’abbiamo lasciato alle spalle. Una volta che le piazze si sono svuotate, i dibattiti spenti e la vittoria gustata, è ora di soffermarsi su un altro problema inerente alla questione idrica del nostro paese: il consumo dell’acqua. Quest’ultima, infatti, che sia pubblica o privata, potabile o meno, deve essere salvaguardata dallo spreco. Uno spreco eccessivo, visti i dati che emergono, soprattutto rispetto al consumo di altri paesi europei e americani. Ogni italiano, infatti, usa in media 215 litri di acqua al giorno per bere e lavarsi, ma il consumo aumenta se consideriamo nel conteggio anche l’acqua “virtuale”, impiegata per la produzione di cibi e abiti. Il totale salirebbe così a 6.500 litri a testa.

 

Tanti. Troppi. Uno tra i valori più alti al mondo, secondo solo agli Stati Uniti. E solo il 30% di quest’acqua proviene da risorse del suolo italiano. Il resto dall’estero. Dato, quest’ultimo, che fa del nostro paese il quinto importatore d’acqua del pianeta dopo Brasile, Messico, Giappone e Cina.
L’aggettivo “virtuale” riferito all’acqua, e utilizzato qualche riga sopra, fa riferimento, nello specifico, all”acqua nascosta nei cibi, nei servizi quotidiani e negli indumenti. La somma tra questa percentuale e quella dell’acqua “reale” dà come risultato l’ “impronta”, ossia il volume d’acqua necessario per produrre beni e servizi consumati dai singoli abitanti di ogni paese. Ed è proprio in questa fascia che campeggia, come un brutto neo,il nome del Belpaese.

 

Un paradosso, dunque, a mio avviso, preoccuparsi di non privatizzare l’acqua per timore di pagarla a peso d’oro e invece sprecarla quando ne disponiamo liberamente. Un paradosso, però, che andrebbe subito eliminato, vista l’emergenza siccità che da anni ci attanaglia. Studi recenti condotti dal WWF, hanno evidenziato come il nord Italia sia ricco di acqua di alta qualità ma inquinata dagli scarichi industriali e utilizzata senza freni nei campi per i sistemi d’irrigazione. E come il sud e le isole, invece, dispongano di poche risorse, destinate ulteriormente a diminuire, e altrettanto poche infrastrutture. Lo stesso WWF, oltre ad allarmarci e metterci in guardia, ci propone pure soluzioni efficaci per contrastare il problema, come una diffusa cultura della buona alimentazione ( riduzione del consumo di carne ) e il miglioramento delle tecnologie per l’irrigazione e la raccolta d’acqua nei campi.

 

E infine ci ammonisce con una riflessione: “il prezzo del mercato non riflette in alcun modo il valore dell’acqua e i sussidi frenano la spinta verso nuove tecnologie. E’ qui la chiave: se il prezzo non rispecchia l’importanza e la scarsità del bene nessuno si preoccupa dei consumi eccessivi né degli sprechi”. I proverbi tradurrebbero che non ci si accorge mai del valore di qualcosa finchè la si possiede. Dunque, una volta tutelata l’acqua come bene pubblico attraverso il referendum abrogativo dei giorni scorsi, forse sarebbe il caso di riflettere sull’unica nota positiva che la privatizzazione avrebbe prodotto: la coscienza dell’enorme valore dell’acqua.

 

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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