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Del come le distanze mutano in acqua

di Luca Guerra

 

Il nostro corpo parla un linguaggio che solo un altro corpo è in grado di decodificare e comprendere: nel mondo contemporaneo sta assumendo sempre più importanza la valutazione della prossemica, ossia dei segnali riguardanti il comportamento spaziale che l’orientamento del nostro corpo è in grado di valutare. Nella prossemica, grande importanza è data all’idea di distanza fisica, come fu concepita e classificata negli anni ’60 dall’antropologo americano Edward T. Hall. Nel mondo del contatto veloce, della comunicazione multimediale e più frammentata che mai, diventa molto importante saper decifrare i comportamenti paraverbali delle persone con le quali andiamo a rapportarci, considerata la scarsità di tempo necessaria a coltivare rapporti interpersonali basati sulle sufficienti quantità (e qualità) di dialogo e ascolto.

 

Nella nostra epoca si va restringendo l’idea di zona pubblica: pubblico e intimo costituiscono i 2 poli entro i quali i rapporti sociali si sviluppano, soverchiando i concetti di sociale e personale. Diamo sempre maggiore peso alla cinesica e alla lettura dei gesti, sempre più utili per definire chi è “dentro” e chi “fuori”. Viviamo nella società dell’eccesso, divisa tra l’eccessiva diffidenza e la conseguente paura per le distanze che si assottigliano in mezzo alla folla, e quella fetta di popolazione, in particolare quella in età adolescenziale, nata e cresciuta nel concetto di “gruppo”, inteso come nucleo amicale e conversazionale nel quale i corpi sono sempre tanto vicini da configurarsi come un unicum.

 

In questo marasma di confini dissipati e inconoscibili, si fa largo l’acqua: in quale altro posto, se non nel mare, i comportamenti e l’approccio all’idea di confine e distanza mutano? Basti pensare a come ci muoviamo con disinvoltura pur avendo il nostro corpo ignudo eccezion fatta per il costume, quel pezzo di stoffa che ricopre le parti intime, e come in acqua riusciamo a essere vicini, prenderci sulle spalle, muoverci a cavalcioni senza paura del giudizio altrui. Il mare, inteso come superficie acquifera, disintegra gli ordini, con l’effetto di liquefare i nostri preconcetti e le nostre concezioni di pudore, senza sfociare nel volgare o nel turpe, ma semplicemente configurandosi quasi come una “zona franca” in cui la paura di mostrarsi cede il passo alla gioia di vivere.

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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