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Un paese nel fango. Un territorio da salvare

 

Un’altra  valanga d’acqua  ha sommerso di fango e detriti il nostro paese. Uno tsunami d’acqua dolce che lascia senza parole. Ma non tanto per la violenza distruttiva quanto  per la ripetitività con cui le tragedie annunciate si ripropongono a intervalli sempre più ravvicinati.  E non solo nei soliti luoghi ( il meridione devastato dal binomio speculazione edilizia e criminalità organizzata), ma anche al nord, nelle avanzate regioni di Liguria e Toscana. Non solo in sperduti e antelucani borghi  della Calabria e della Campania, spopolati e afflitti da storica mancanza di lavoro che spinge all’emigrazione i più giovani, ma anche nelle zone di grande richiamo turistico, dove la natura è un asset economico fondamentale e una tradizione di buon governo  è unanimemente riconosciuta.  Ancorché legata alla memoria, stante l’inattualità di ambienti naturali perfettamente conservati e valorizzati e viceversa l’evidenza con cui non passa giorno che non venga cancellato un pezzo di territorio coltivato o un lembo di paesaggio incontaminato. Insomma:  tutto il territorio è ormai paese, nel contempo che tutto il tutto il paese va a pezzi.

Evidentemente  siamo di fronte a un fenomeno che segnala punti di caduta complessivi che per un verso fanno riferimento a cambiamenti climatici e metereologici  epocali e per l’altro a un processo di progressivo degrado territoriale che non sembra  più limitato e rafforza la paura che dovremo sempre più coesistere con il terrore ambientale. Con il rischio non più remoto e ipotetico di trovarci in qualsiasi momento dell’anno a fare i conti con fenomeni naturali estremi.

Ma accanto a questa inquietudine è forte, forse ancora di più, il fastidio con cui ogni volta si ripropone lo stesso copione(mediatico).  Che vede i pubblici poteri e amministratori  rimpallarsi le responsabilità fra i diversi gradi di governo e amministrazione territoriale ( sindaci che se la prendono con la provincia o la protezione civile, assessori e presidenti di Provincia che lamentano di essere stati lasciati soli dalla Regione, presidenti di  regione che se la prendono con il governo centrale). Non meno stucchevole però è  il gioco della parti fra gli esperti, che puntualmente affollano i talk show e le dirette dai luoghi del disastro, e che anche qui rivela ormai una fissità, che concorre ad aumentare il danno. Quantomeno nella reiterazione di un contrapposto pregiudizio che è tempo di dismettere e superare.  Anche perché in realtà i comportamenti, così come gli orientamenti, sono assai più ricchi, articolati e sfumati. Quello ( di sinistra, per schematizzare) di chi punta il dito contro i cementifica tori e quello ( di destra)  che invece accusa gli ecologisti di impedire addirittura i lavori di manutenzione ambientale.

 Ecco allora che la prima esigenza è cambiare atteggiamento. Cominciare davvero a pensare che non si può più, ogni volta, fare il conto dei danni e scoprire che si sarebbe speso molto meno preoccupandosi di garantire la giusta, corretta e puntuale opera di manutenzione ( dei campi, dei fossi, dei rii, delle golene) e rispettando senza eccezione alcuna i vincoli naturali ( le golene dei fiumi come le superfici boschive). D’altronde solo così, rispettando lo “spirito dei luoghi” e i saperi della terra, ma coniugati  con le più avanzate tecnologie ( quelle che dovrebbero anche assicurare il “tempo reale” delle comunicazioni di protezione civile)  si può ricostruire una corretta dialettica uomo-natura.  E  riaffermare il valore di una cultura intellettualmente amica del paesaggio e dei territori coltivati. Nonché  la convinzione  che senso estetico e bellezza si manifestano , potendo pienamente esprimersi,  nella cura e conservazione del patrimonio agricolo e arboreo.

  Concludo con due segnalazioni. La prima riguarda la costituzione del Forum dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio che si è tenuto  il 29 ottobre nel Comune di  Cassinetta di Lugagnano. Il luogo, per la vicinanza con  Milano e per essere stato il primo a dichiarare il suo territorio “ a crescita zero”, è già un manifesto pronto a diventare una campagna di sensibilizzazione e mobilitazione: “ Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori”. La seconda invece riguarda noi e la responsabilità che ci siamo assunti allargando il raggio di questo giornale: dall’acqua che pure resta centrale, all’ambiente e al paesaggio. Abbiamo aperto la rubrica “ L’Italia da salvare”, che vorremmo diventasse una partecipata rubrica collettiva. Abbiamo poi reclutato un collaboratore di qualità (l’autore del film “ Il suolo minacciato”, Enrico Dall’Olio) e altri a breve seguiranno. Obiettivo: favorire l’alleanza e convergenza più ampie di persone e associazioni. Che credano nella difesa  attiva e propositiva, non nostalgica o sentimentale, del paesaggio e del l’agricoltura, vista anche come strumento fondamentale per garantire la nostra sovranità alimentare.

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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