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In volo d’angelo tra Castelmezzano e Pietrapertosa

di Annarita Baldantoni 

 

 

 

 

 

 


Volare? In Basilicata si può. E non è come prendere l’aereo, decisamente no, non è un volare già visto e sentito: ci sei solo tu, a braccia spalancate sulle Dolomiti lucane, giganti ammassi di arenarie che irrompono in un paesaggio morbido e sinuoso. Tutto questo è possibile grazie ad una struttura unica al mondo, che si trova in una delle regioni più sottovalutate (a torto) d’Italia. Ne esistono solo altre tre simili, tutte in Francia: a Gerardmer, a Chatel e a Fumay, ma quello lucano resta il volo più alto e più lungo.

 
Si tratta di avere un po’ di coraggio e tanta voglia di adrenalina, ma il risultato è garantito: due cavi d’acciaio, lunghi poco più di 1400 metri, collegano le due stazioni di volo, Castelmezzano e Pietrapertosa, ed il gioco è fatto. La Basilicata, che ha guadagnato qualche punto popolarità grazie a pellicole cinematografiche di grande risonanza, è bella davvero. C’è poco da fare, è bella per le montagne, per i boschi, per i paesini arroccati sulle montagne, per i paesaggi da cartolina che in altri posti se li sognano. E’ bella davvero. E questa struttura, questo “Volo dell’angelo”, ne permette una visuale completamente nuova e del tutto insolita: è un attrattore che da ormai quattro anni consente di vivere un’emozione unica e (ir)ripetibile, garantendo aria sana, panorami mozzafiato e spese alla portata di tutti, per non parlare della meraviglia dei due centri che la ospitano.

 

 

 

Ma entriamo un po’ nel tecnico. Va detto che esistono due “linee di volo”: una che va da Pietrapertosa a Castelmezzano, detta di San Martino, lungo la quale si raggiunge una velocità di 110 km/h per poco meno di un km e mezzo, il tutto mediamente a mille metri di quota; l’altra, la linea peschiere, compie il percorso inverso, toccando i 120 km/h, mantenendosi leggermente più lunga e più in alto della San Martino. Per raggiungere le postazioni di lancio si usufruisce di un servizio navetta, anche se non manca un tratto a piedi (in salita!), durante il quale appare chiaro che di lì a poco ci si getterà letteralmente dalla vetta di una montagna. Una volta giunti in cima, degli addetti vi imbragheranno dalla testa ai piedi, consentendovi poi successivamente di venir agganciati in tutta sicurezza per la schiena, non senza però avervi chiesto il vostro peso: regoleranno infatti la discesa con delle piccole “vele”, in modo da non farvi arrivare dall’altra parte come missili.

 

 

 

Ed eccovi pronti al lancio! Ad onor del vero, va detto che in molti, una volta agganciati, vengono presi dal panico: alcuni rinunciano, altri titubanti si lasciano convincere, altri ancora fanno un respiro profondo e si preparano allo spettacolo. Poi il tecnico molla la presa, e in un attimo si finisce nel vuoto, dall’avere la terra sotto i piedi ci si ritrova distesi sulle montagne, a sfrecciare con il vento che taglia la faccia, a gridare nel cielo, e l’adrenalina sale, l’emozione, il senso di libertà, e troppo paesaggio negli occhi per poterlo guardare tutto, troppa bellezza e vita. Ogni lancio è unico, ogni ora del giorno è perfetta ed emozionante a modo suo. E quando si arriva dall’altra parte si pensa sempre che sia finita troppo presto, come tutte le cose belle. E invece stavolta no, il tempo di riprendersi e si va verso la seconda linea, pronti stavolta a lanciarsi tra le rocce, e si ritorna a volare, a librare come uccelli veloci, leggeri, liberi. All’arrivo è davvero tutto finito, ma il Volo è sempre lì, quelle ali invisibili sono a portata di mano e molti non sanno nemmeno che esistono, molti non sanno di poter godere di un privilegio che è solo per uccelli e angeli. Almeno una volta nella vita tutti dovrebbero avere l’occasione di provare sensazioni simili, di sfrecciare lungo questo filo che lega alle rocce e alla realtà il sogno più antico e sognato dell’uomo.

 

 


Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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