
35 mm d’acqua: La piscina di “Viale del tramonto”
di Massimo Guadrini
Viale del tramonto (titolo originale Sunset Boulevard) è un film drammatico del 1950 diretto da Billy Wilder, per la Paramount Pictures. Nel cast un allora semi-sconosciuto William Holden e diverse “vecchie glorie” del cinema muto: Gloria Swanson ed Erich von Stroheim (nei due ruoli di protagonisti al fianco di Holden) e Buster Keaton, Anna Q. Nilsson e H.B. Warner come figuranti. La trama del film è la storia melodrammatica di una torbida relazione tra una ex-diva del cinema muto, Norma Desmond (G. Swanson), ed il giovane sceneggiatore di dubbio talento Joe Gillis (W. Holden). La relazione è complicata dal fatto che Holden non corrisponde i sentimenti della donna e che tra i due esiste una notevole differenza d’età. Ma il film è anche un’analisi impietosa dell’ambiente di Hollywood e del meccanismo dello star system, tanto che Time, nel lodarlo, lo definì “il lato peggiore di Hollywood raccontato nel modo migliore”. Viale del tramonto fu molto apprezzato dalla critica: ricevette 11 nomination agli Oscar, vincendone tre: per la migliore sceneggiatura, migliore scenografia e migliore colonna sonora.
Il film presenta diverse particolarità, prima fra tutte che è narrato interamente dalla voce fuori campo di Joe, che è già morto.
Ma un altro aspetto lo rende particolarmente adatto ad essere trattato in questo contesto: tutta la vicenda si snoda tra due scene girate a bordo della piscina della villa di Norma, in cui galleggia a pancia in giù il cadavere di Joe. La piscina, in effetti, costituisce una sorta di “oggetto del desiderio” per Joe ed uno degli elementi centrali del film in quanto testimone, insieme all’Isotta Fraschini dalla tappezzeria in pelle di leopardo, del passato splendore della villa e della vita di Norma.
Così, all’inizio, si vede una piccola folla sul bordo della piscina e poi, in controcampo dal fondo, Joe e, al di là del diaframma costituito dalla superficie dell’acqua, il mondo esterno, deformato dall’effetto lente dell’acqua. Alla fine della narrazione lo spettatore viene riportato nel “tempo presente” filmico dal ritorno alla piscina, dove i poliziotti stanno recuperando il corpo di Joe.
Il fluttuare del corpo di Joe nell’acqua fu interpretato come metafora dell’incapacità del personaggio di “penetrare” nel mondo del cinema e, al contempo, di non saper stare nel “mondo reale”, rappresentato dalle persone sul bordo della piscina.
Girare il controcampo dal fondo della piscina fu estremamente problematico: all’epoca le riprese subacquee erano di là da venire. Furono compiuti degli esperimenti che, però, non soddisfecero né Wilder né John F. Seitz, direttore della fotografia. E allora, come risolsero il problema? Con uno specchio opportunamente piazzato al di sotto di Holden e “ribaltando” le posizioni degli attori a bordo piscina; poi, portarono l’acqua alla temperatura di circa 40°. Dei due espedienti il primo fu brillante ma non inedito, perché riprese con specchi, benché non in acqua, erano già state fatte. Ma è specialmente interessante il secondo, che venne adottato perché fu notato empiricamente che a quella temperatura l’acqua presentava una maggiore trasparenza coniugata ad una limitata e gradevole distorsione dell’immagine. Il risultato ottico è ancora oggi credibilissimo: la leggera turbolenza dell’acqua e le tracce di un qualche tipo di sospensioni conferiscono alla scena una verosimiglianza notevole.
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