
Scompaiono i ghiacciai ma non i rifiuti
“Cambia tutto, cambia il mondo, ma l’unica cosa che non cambia mai sono i ghiacciai”. Era un modo di dire tramandato nei secoli fra le popolazioni montanare della Valle d’Aosta. Lo ha ricordato il programma tv Geo &Geo ( Rai 3, emissione del 9 gennaio 2012) proponendo una ricognizione sull’”Italia che viaggia”. E che di questi tempi, ovviamente, ha come meta principale i monti e le montagne e va in slitta, con gli sci o la tavola da snow. Ma che di norma presta poca attenzione, tutta presa com’è dal divertimento sportivo, ai problemi ambientali che assediano il nostro presente e ancor più minacciano concretamente il nostro futuro. Come quello della ritirata dei ghiacciai, sino a ieri definiti “eterni”, ma che da un po’ d’anni e ogni anno che passa con sempre maggiore evidenza, si restringono, si riducono, lasciando intravvedere una loro non remota scomparsa.
Naturalmente dobbiamo guardarci, come sempre, dall’allarmismo che è la pratica preferita dell’ambientalismo estremista, dell’ecologismo ultrà che non intende negoziare con il conflitto, non vuole sentire ragioni contrarie alle proprie e non si sforza di considerare i pro e i contro che ogni decisone inevitabilmente ha. Di norma è questo comportamento/atteggiamento che rafforza anche il variegato schieramento contrario, fatto di irriducibili inquinatori, di cementificatori della prima e dell’ultim’ora, di distruttori di paesaggio. Ed è precisamente contro questi due opposti, ma affini, modi di pensare che noi ci collochiamo. Per rispondere anche a due lettere che ci chiedono conto dell’atteggiamento che abbiamo tenuto e dovremmo tenere a proposito del grande tema dell’”acqua pubblica”. Dopo le vicende referendum e i recentissimi propositi, peraltro ancora vaghi, del Governo Monti di avviare liberalizzazioni nell’ambito dei servizi pubblici.
Molto brevemente vorrei ricordare anzitutto il nostro status editoriale, che è di emanazione universitaria e nell’ambito di un corso di laurea (specialistica) in giornalismo. La qualcosa ci obbliga a una terzietà che non significa evitare temi scottanti e posizioni scomode, bensì attenerci ai criteri di una buona, corretta e scrupolosa informazione. Ovviamente nei limiti nostri ( di capacità e di risorse), però sempre con il massimo di buona fede, onestà e intenzioni costruttive. Nella fattispecie per non divagare crediamo, come abbiamo già scritto in un precedente editoriale, che dire “acqua pubblica” non significhi niente se non vengono poi esplicitate le intenzioni concrete di “buona amministrazione”. A partire dalla fondamentale questione che gli investimenti costano ( allo stesso modo sia che il gestore sia pubblico o privato) e che le bollette sono sempre da pagare. Non esiste l’acqua gratis. Allo stesso modo siamo convinti che significhi ancor meno invocare liberalizzazione e privatizzazione dell’acqua senza però entrare nel merito di investimenti, costi, obblighi dei gestori nel garantire agli utenti la qualità dei servizi. Fermo restando che tutti, compreso l’attuale governo Monti, devono attenersi ai dati di un referendum che ha portato alle urne 27 milioni di italiani e che si è tenuto 6 mesi ( non anni ) fa.
In questa luce crediamo ad esempio , per farne uno solo ma emblematico, che il criterio a cui ci si dovrebbe attenere è il punto di equilibrio ottimale fra economicità o profittabilità dei servizi e grado di soddisfazione degli utenti serviti. E dicendo questa “banalità” vorremmo sottolineare due questioni fondamentali: che di solito sono proprio le cose banali le più disattese; e che esistono dei metodi oggettivi e certificati per misurare efficienza delle gestioni e customer satisfaction. E’ con quest’invito ad attenerci ai fatti – che è anche una norma di corretto comportamento giornalistico- vorrei fare alcune veloci considerazioni su una questione che da qualche anno sta arroventando il clima politico-sociale in molte zone d’Italia compreso Parma. Dove la costruzione del termovalorizzatore vede confrontarsi ormai senza mezzi termini, e con furore, fautori e oppositori. Ovviamente il discorso nel merito, che ha anche una sua evoluzione storica, dunque responsabilità molteplici e precise a proposito di quel che si è fatto ma soprattutto non fatto in materia di rifiuti, sarebbe lungo e complesso. E questa non è la sede. Vorrei solo cogliere l’occasione per ricordare che suona bene rifiuti zero, come chilometro zero ed emissioni zero. Così come su altri piani zero interessi o anticipo zero. Ma in realtà, in natura come in economia, è un obiettivo impossibile. Certo si capisce l’intenzione e lo spirito ( contenere, ridurre gli sprechi, risparmiare, consumare con giudizio), ma solo se si usa il “rifiuti zero” come provocazione. Perché diversamente, se lo si ritiene concretamente possibile, è solo perché si pensa di continuare a fare come si fa da decenni. Esportare i rifiuti in altre provincie e confidare nei termovalorizzatori altrui. Dopo di che se in prossimità degli inceneritori ci si ammala ( ma le ipotesi scientifiche “ballano”) sono problemi di chi ci abita vicino!