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Archeostorie: il tempio a pozzo di S.Cristina a Paulilatino

di Michele Dall’Aglio

 

 

Il tempio a pozzo fa parte del complesso nuragico medievale di S. Cristina, nel comune di Paulilatino, in provincia di Oristano. La località prende il nome dall’omonima chiesetta, posta al centro delle muristenes o cambessias, abitazioni utilizzate dai fedeli durante le feste in onore della Santa e di S. Gabriele.

Il complesso archeologico comprende due settori: nel primo si trovano il tempio a pozzo, la capanna delle riunioni con recinto annesso, tabernae e capanne; nel secondo, a circa un centinaio di metri dall’altro, verso sud – ovest, vi sono un nuraghe monotorre, un villaggio ed alcune capanne dalla forma allungata di incerta datazione.

La prima notizia riguardante il pozzo è contenuta nel Voyage del Lamarmora. Viene poi descritto anche da Angius Casalis nel Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna del 1851 alla voce “Paulilatino”.

Nel 1857 il canonico Giovanni Spano, padre dell’archeologia sarda si sofferma sul monumento di Santa Cristina dando maggiori particolari e presentando il primo rilevamento grafico del monumento, realizzato dal Crespi. Afferma: “… L’opera è ciclopica, costrutta con grandi massi di pietra nera vulcanica … senza cemento, al par dei nuraghi. Si entra per un sotterraneo la cui volta giace a perpendicolo fatta a scaglioni, e disposti uno sopra l’altro in modo sporgente a guisa di merli. Quando si è dentro, dal fondo della bocca è alto quattro metri e più. È di figura rotonda, nella base è largo, e poggiano i primi ordini dei giganteschi massi, indi vi è sovrapposto il secondo ordine in modo sporgente, sopra a questo il terzo della stessa conformità, e così via dicendo sino al decimo strato o cinta, sempre diminuendo che sembra di formare un cono tronco e la bocca d’un pozzo ordinario… quest’opera appartiene a quei primi popoli … che si stabilirono in Sardegna.”

Purtroppo Spano pensò si trattasse di un carcere.

Alcuni anni più tardi Lamarmora nel suo Itinéraire del 1860 descriverà il pozzo di Funtana Padenti di Baccai di Lanusei, facendo riferimento al pozzo di Santa Cristina “nei dintorni di Paulilatino … si trovano pure monumenti antichissimi, tra i quali … Puttu de Santa Cristina, presso la chiesa di questo nome. Realmente è una specie di pozzo sotterraneo conico, largo in fondo, e stretto nella sommità: esso è formato di grosse pietre basaltiche ben tagliate, e vi si entra da un sotterraneo costrutto similmente con grosse pietre ben lavorate e disposte a scaglioni; l’interno del cono è costrutto con la stessa arte di modo che è impossibile di montare di sotto in su, perchè gli scaglioni impediscono che si passi da uno all’altro; è una specie di costruzione che richiama le prime prove delle volte.

Lo Spano ne ha fatto una descrizione, e un disegno … lo paragona alle carceri antiche … io però, accettando d’essere una costruzione anteriore all’epoca romana, lo credo un sotterraneo simile a quello di cui ho visto gli avanzi presso Lanusei.”

Oltre a delle citazioni nella Memoria sopra ai nuraghi di Sardegna del 1867 e nell’Itinerario tradotto e compendiato del 1868, il pozzo di Santa Cristina è descritto dal Von Maltzan nel Viaggio in Sardegna, ma viene datato al Medioevo.

Nel 1904 il Mayr interpretava la costruzione come una tomba.

Chi, finalmente, chiarì la funzione di questi pozzi, che si andavano scoprendo in tutta la Sardegna fu Antonio Taramelli. Egli vide le forti analogie, che vi erano tra il santuario di S. Cristina e quello di S. Vittoria a Serri ed osservò che la scala che serviva per la discesa al fondo del pozzo, non esisteva per utilità, ma per un preciso scopo rituale, legato al culto delle acque. Con le indagini del santuario di Serri si iniziò a interpretare correttamente questi edifici, sempre più numerosi e costruiti secondo un preciso e ripetuto modulo architettonico e caratterizzati dalla presenza di oggetti prestigiosi. Tale ipotesi fu sostenuta anche dallo storico delle religioni Giovanni Pettazzoni.

Tuttavia non mancarono le contestazioni.

L’archeologo che legherà il suo nome a S. Cristina fu Enrico Atzeni, che cominciò gli scavi del santuario a partire dagli anni ’50 e lo fece restaurare, dato che era stato gravemente danneggiato dai tombaroli. I lavori di indagine e di restauro sono continuati grazie al Bernardini, negli anni ’70.

Il pozzo di S. Cristina ha sempre suscitato meraviglia e sul monumento vi è una vasta bibliografia. Oltre alle letture meramente scientifiche della struttura, ve ne sono state anche di tipo astro –archeologiche come quella del Cavedon, pubblicata sul Corriere della Sera del 16 giugno 1992.

Quest’ultimo, riprendendo una tesi dell’astronomo G. Romano, pubblicò un articolo, corredato da una pianta, una sezione e la didascalia sosteneva che “La struttura funzionava da osservatorio per la massima declinazione della luna alla fine di dicembre e all’inizio di gennaio, quando si specchiava nell’acqua in fondo al pozzo. Negli equinozi di primavera e d’autunno il sole illuminava la scalinata fino ad arrivare allo specchio d’acqua…”. Il Cavedon, però, come altri studiosi, ignorò, formulando la sua ipotesi ed i suoi calcoli sullo stato attuale del monumento, che il foro sommitale della tholos, che si apre attualmente sul piano di campagna, fosse chiuso e che sui muri ancora visibili insistesse la struttura in elevato dell’edificio, ora distrutta.

La parte emergente della costruzione doveva essere isodoma, un’antica tecnica costruttiva caratterizzata da file di grandi pietre dello stesso spessore del muro, ben lavorate su tutti i lati, disposte in file orizzontali ad altezza regolare ed omogenea, con incassi e solchi ai lati per l’incastro reciproco; ogni fila è sfalsata rispetto a quella su cui si appoggia, creando, in tal modo, una costruzione simmetricamente disposta in ogni parte come è anche il tempio di Su Tempiesu.

Per quanto riguarda le indagini stratigrafiche non si può dire nulla di preciso, ma gli oggetti rinvenuti hanno datato il santuario all’XI secolo a.C.

Il santuario comprende il pozzo, la capanna delle riunioni, un ampio recinto ed una serie di vani tondeggianti o quadrangolari disposti a schiera. Il pozzo sacro riprende lo schema planimetrico comune a tutti questi edifici nuragici: atrio, scala e camera sotterranea, che custodisce la vena sorgiva.

Come già riportato, il monumento conserva solo la parte sotterranea. Le sue strutture sopraterra sono limitate al muro perimetrale, a forma di serratura, che racchiude l’atrio rettangolare ed il tamburo del pozzo. In questo muro è ricavato un sedile. Tutto ciò è circondato da un recinto ellittico di 26 x 20 m., che separa l’edificio sacro dal santuario.

Il vano scala, di forma trapezoidale, si apre a ventaglio con una larghezza di m 3,47 in superficie, restringendosi gradualmente fino all’ultimo gradino di m. 1,4, e raggiungendo la profondità di m 6,5. Questa scala di venticinque gradini è coperta da un soffitto gradonato, che dà un’immagine speculare della scalinata, come se si trattasse di un suo riflesso.

La cella è di pianta circolare, con diametro di 2,54 m, alta 6,9 m e si eleva restringendosi con il graduale aggetto delle pareti: l’ultimo anello ha un diametro, aperto sulla superficie, di 0,33 m. Al centro del pavimento si apre una vaschetta di decantazione, per depurare l’acqua, circolare e profonda 0,5 m.

Ancora oggi, dagli interstizi dei filari inferiori della camera filtra l’acqua sorgiva, che, d’inverno, colma la cella arrivando a lambire i gradini inferiori della scala. Acqua che, ancora oggi, è considerata magica e inviolabile.

Appena usciti dal recinto sacro del tempio, ci si imbatte nella capanna delle riunioni, del diametro di 10 m. Il pavimento interno è dato da ciottoli sui quali si imposta un sedile, ricavato nel muro, che corre lungo tutta la circonferenza del vano. Qui probabilmente venivano dibattuti i problemi e venivano prese le decisioni inerenti alla vita della comunità che viveva attorno al tempio.

A ridosso di tale capanna si trova un vano più piccolo, a profilo curvilineo e leggermente staccato da un recinto, che aveva la funzione di custodire gli animali destinati al tempio, come offerte o come vittime sacrificali, oppure gli animali usati dai capi per raggiungere il santuario.

Il resto delle strutture che si aprono a schiera attorno al piazzale antistante al tempio, probabilmente, non sono altro che botteghe legate alla vita del santuario.

Molto probabilmente qui si venerava la potenza generatrice delle acque, dato che si è in presenza di acque sotterranee con riferimento all’utero materno.

Insomma il luogo è bello e il sito archeologico è veramente molto suggestivo, merita senza ombra di dubbio una visita.

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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