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Curon, un paese inabissato

di Giulia Rossi

 

Un’ampia distesa di ghiaccio, meta di tanti bambini con i pattini ai piedi, le sicure montagne all’orizzonte e un guardingo campanile in stile romanico che emerge come un fantasma dalle acque del lago Mittersee. E’ dicembre, la temperatura è gelida. La forza del vento taglia la pelle. Ma questo non scoraggia grandi e piccoli ad avventurarsi sulla superficie del lago per provare il brivido di toccare il campanile. Una coppia di fidanzati scatta una foto. Dietro, uno scenario mozzafiato. C’è chi decide di farsi un’insolita passeggiata, chi si sdraia per terra per sentire lo scricchiolio del ghiaccio.

Assurdo poter credere che solo sessant’anni fa, proprio sotto le acque del Mittersee, il lago di mezzo, ci fosse un paese: Curon.

No, non siamo in un film di fantascienza, ci troviamo nella nuova Curon, in Val Venosta, Alto Adige. Il vecchio paese giace a pezzi sul fondo del lago, assieme ai ricordi di tante persone che sono state costrette ad abbandonare in fretta la casa, la fattoria, i campi e il bestiame, perché proprio lì, nella borgata dove erano cresciuti, nel paese dei loro affetti, nella sede del loro lavoro, il consorzio Montecatini doveva realizzare un bacino artificiale per la produzione di energia idroelettrica. La stessa sorte, anche se con conseguenze inferiori, è toccata alla vicina Resia, come pure agli antichi borghi Arlund, Piz, Gorf e Stockerhof: tutti inondati e cancellati per sempre. Gli altoatesini sono stati allontanati della città e alloggiati temporaneamente in baraccopoli alle pendici della Vallelunga.

Curon negli anni è stata ricostruita e oggi, dall’alto della sua postazione, osserva nostalgica quel lago artificiale, lungo sei chilometri e largo uno, responsabile di un dolore che mostra ancora la sua cicatrice attraverso quel campanile solitario in mezzo all’acqua.

Il bilancio della costruzione della diga lascia ai vecchi abitanti di Curon l’amaro in bocca: 677 ettaridi terra sono stati sommersi dall’acqua, 150 le famiglie che sono state sfrattate, metà di loro sono state costrette ad emigrare altrove. E, come se non bastasse, i risarcimenti per “il disturbo” sono stati inadeguati.

Ma come si è consumata nel dettaglio la tragedia della Val Venosta?

Il progetto di creare un lago artificiale nasce sotto l’impero austro-ungarico ma viene effettivamente concretizzato dal governo italiano, dopo che l’Alto Adige era stato annesso alla nostra penisola, nel 1920, concedendo l’elevazione dell’acqua del Mittersee di5 metri, senza ripercussioni per gli abitanti di Curon e Resia.

Nel 1939 lo Stato affida al consorzio Montecatini la costruzione di una diga in basso al Mittersee, la quale doveva permettere un ristagno d’acqua fino a 22 metri: i cittadini di Curon e Resia tremano. Nelle decisioni del grande gruppo industriale la legittima volontà degli altoatesini di restare a vivere nelle proprie case non viene infatti contemplata.

Con il sopraggiungere della Seconda Guerra Mondiale e dell’occupazione tedesca nell’Italia settentrionale, il progetto del lago artificiale viene accantonato, alimentando le speranze degli abitanti della Val Venosta di aver scampato il temuto pericolo. Mala Montecatini, anche grazie agli investimenti svizzeri, nel 1947 provvede a svegliare dal torpore i cittadini, annunciando l’immediata ripresa dei lavori. Vane le proteste e le lotte condotte con determinazione e coraggio dagli abitanti di Curon, affiancati dal parroco Alfred Rieper, per fermare i lavori. Nemmeno il colloquio con il Santo Padre, Pio XII, a Roma sortisce gli effetti sperati.

Ormai impotenti e arresi gli abitanti di Curon e Resia sono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, le proprie terre, le proprie fattorie. Qualcuno cerca di resistere occupando fisicamente  la casa ma ormai è tutto inutile.

Il 1950 è l’anno decisivo: l’acqua del lago viene fatta salire a ritmo sempre più incalzante e in breve la sua furia invade i campi, le strade, le cantine e le stalle. Gli edifici vengono dapprima chiusi e poi fatti esplodere. Uno dopo l’altro. Dalle pendici della Vallelunga, dove sono accampati, i sudtirolesi non possono far altro che osservare il fumo delle loro case innalzarsi al cielo e i loro affetti andare in cenere. A luglio, Curon si inabissa. Solo il campanile, per il suo valore artistico, viene risparmiato, lo stesso che oggi, domina il lago dall’interno e come un accusatore muto ricorda a tutti vecchi e giovani che lì sotto, tanti anni fa, c’era un paese in cui la vita scorreva tranquilla e indisturbata.

 

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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