
Macerie nel capoluogo abruzzese: problema strettamente ambientale o anche morale?
di Gloria Ricciotti
Sono passati quasi tre anni dal terremoto che ha sconvolto L’Aquila e la città non riesce ancora a riprendersi il suo antico centro storico. L’Aquila, un comune di 72.442 abitanti, al decimo posto per ampiezza a livello nazionale, una città che, distrutta dal sisma, sembra non riesca più a rialzarsi o forse semplicemente pare che le istituzioni non ritengano prioritaria la sua rinascita. Entrando nelle mura del capoluogo abruzzese si ha come l’impressione che niente sia cambiato da quella notte del 6 aprile, quando alle 3.32 gli abitanti furono svegliati da una violentissima scossa di magnitudo 5.9.
Il senso di sgomento e di enorme vuoto trova terreno fertile in un cumulo di macerie che è ancora lì, a ricordare al mondo che c’è una ferita da risanare per quella città e per i suoi abitanti che sono ancora costretti a vivere in abitazioni di legno, nelle case del progetto New Town o in affitto nelle province circostanti. Il problema nasce proprio dalla massa ingombrante di detriti di cui si parla ormai da anni ma della quale nessuno si occupa concretamente.
Colpa di una burocrazia troppo lenta? Di una incapacità di coordinamento e di progettazione dei lavori di smaltimento? O la causa di questa inerzia è lo scaricabarile tra enti locali e amministrazione nazionale? Come ultima e più sconcertante ipotesi si potrebbe pensare ad una speculazione, di cui si hanno già esempi in alcune inchieste relative al post-terremoto. D’altronde tutto ciò è sintetizzato da un proverbio aquilano citato da un abitante del capoluogo: “peste, terremoto e guerra: chi si arricchisce e chi si sotterra”. E forse è proprio questo il punto: bisognerebbe investire soldi per risolvere il problema, senza contare che riciclando le macerie queste potrebbero diventare addirittura una risorsa. Infatti, sebbene si continui a parlare di “smaltimento”, la cosa migliore da fare sarebbe il “riciclaggio”, prendendo in considerazione l’ipotesi di affidare il lavoro ditte italiane che si occupano appunto di recuperare materiale da edilizia, attraverso tecnologie che circolano ormai da anni in tutta Europa (Italia compresa).
Chi si occupa di questi lavori si è già più volte proposto per risolvere questo incombente problema, ricevendo però secchi rifiuti. È proprio qui che entra in scena la parola “speculazione”, o forse ancora meglio “corruzione”, nel momento in cui si ha a portata di mano la soluzione ma si continua a temporeggiare, facendo finta che si stia cercando in tutti i modi di affrontare quello che ormai è diventato uno scandalo. Non bisogna dimenticare che, oltretutto, molti edifici pericolanti sono ancora da demolire, sebbene i tempi e i modi siano ancora indefiniti, e ciò produrrà inevitabilmente altri cumuli di macerie, ai quali bisognerà trovare una destinazione. Il tutto è segnato da una serie infinita di rimandi e ordinanze che continuano a susseguirsi senza reali provvedimenti.
Risale al 3 gennaio lo sfogo del sindaco Cialente, che lamentava “dimenticanze” da parte del governo Monti, “fra queste quella relativa alle operazioni di smaltimento e trasporto delle macerie, assicurate dall’Esercito”; il primo cittadino affermava di aver già provveduto a chiamare il Dipartimento di Protezione civile, al fine di ottenere una riunione “per aggiornare con urgenza una nuova ordinanza a copertura di questa necessità, assolutamente fondamentale, e per avviare un confronto rapido ai fini dell’emanazione delle linee guida per la ricostruzione dei centri storici”; concludeva dicendo che lo scopo primario “è evitare il ripetersi dell’assurda perdita di mesi e mesi preziosi verificatasi per la riparazione delle abitazioni in categoria E della periferia, per la quale stiamo pagando così duramente”.
Una conclamata perdita di tempo nell’ambito della vicenda del post-sisma che sta arrecando notevoli danni ad una città che per decenni ha contato sul turismo e sull’università e che da tre anni si ritrova a fare i conti con un’emergenza, quella delle macerie, che non solo ostacolano la ricostruzione ma non permettono ai cittadini aquilani di elaborare il lutto e voltare pagina. Il senso di indignazione e sconforto si acuisce nel momento in cui si viene a conoscenza che sei mezzi (un escavatore cingolato, un escavatore gommato, un mini escavatore, una pala gommata, una mini pala compatta e un sollevatore telescopico, valore totale circa 860 mila euro) per lo sgombero e la rimozione dei detriti, donati nel maggio del 2009 dalla Fiat per la ricostruzione di L’Aquila, non sono in realtà mai arrivati in Abruzzo. Inutile chiedersi dove siano finiti perchè, come capita spesso in Italia, nessuno sa fornire spiegazioni a riguardo, come se fossero scomparsi nel nulla durante il tragitto da Torino al capoluogo abruzzese. Probabilmente non sarebbe venuto fuori nulla se non ci fosse stata la denuncia del Conapo (il sindacato dei vigili del fuoco) di L’Aquila che, in una lettera indirizzata al responsabile di Case construction equipment (l’azienda del gruppo Fiat che ha donato le macchine) e inviata anche alla Protezione civile, al commissario per la ricostruzione Gianni Chiodi e allo stesso Dipartimento nazionale dei vigili del fuoco, critica la mancata realizzazione dell’operazione.
Il segretario provinciale del Conapo, Elio D’Annibale, avanza l’ipotesi secondo la quale i mezzi non siano mai arrivati perché il Dipartimento della Protezione civile non si è più occupato dell’emergenza aquilana a partire dal 1 febbraio 2010, nel momento in cui Gianni Chiodi (Presidente della regione Abruzzo) ha assunto l’incarico di commissario per la ricostruzione. La trama si infittisce, quasi come se fossimo in un romanzo giallo, nel quale però è difficile risalire al colpevole; il problema è che qui non si tratta di un’opera letteraria ma è in gioco la vita di moltissime persone e di una città intera, che in questi giorni si trovano a combattere l’ennesima emergenza: la neve. L’ondata di gelo che sta attraversando l’Italia non risparmia L’Aquila, che, al contrario, appare notevolmente colpita dal freddo e dalla neve. Si iniziano a temere nuovi crolli, soprattutto nel Centro storico, dove i tetti potrebbero non riuscire a sostenere il peso della neve accumulatasi in queste ore. A partire da ieri di nuovo stato d’emergenza perciò, dichiarato troppo tardi secondo gli abitanti che ormai da quattro giorni sono costretti ad affrontare questa nuova drammatica situazione; alcuni paesini sono rimasti isolati per diverse ore senza corrente elettrica e acqua, ancora una volta con la possibilità di contare solo sulle proprie forze.
Un comune intero messo in ginocchio due volte nel giro di pochi anni dalla natura e che, nonostante la bellezza e l’importanza del luogo, non riceve la giusta attenzione dalle istituzioni. Meta per secoli dei turisti provenienti da tutto il Mondo per le indubbie bellezze artistiche ( Basilica di Santa Maria di Collemaggio, la Basilica di San Berardino ed il Forte spagnolo, sede del Museo Nazionale d’Abruzzo) e naturalistiche ( nel comprensorio aquilano troviamo il Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Parco regionale naturale del Sirente-Velino ed il Parco territoriale attrezzato delle sorgenti del fiume Vera, il tutto immerso nel caratteristico paesaggio appenninico), L’Aquila si presenta ora spogliata di ogni suo pregio. Con il Centro storico distrutto dal terremoto e occupato dalle macerie, con i suoi edifici artistici chiusi in attesa di una ricostruzione che ha contorni sempre più incerti e senza più un punto di raccoglimento per gli abitanti, costretti a vivere, nella migliore delle ipotesi, nelle new town, troppo distanti dal centro e anche dissonanti dal punto di vista ambientale con il resto del paesaggio. Tutto ciò che rende fiorente una città ( l’economia, la cultura, il turismo) sembra stia scomparendo a L’Aquila, dove l’unica forma di turismo presente è quella macabra, che non si focalizza sulle bellezze del luogo ma sui i danni che la natura ha provocato; le università hanno perso molti studenti e l’economia è in forte calo rispetto agli anni precedenti il terremoto.
Gli aquilani sono ormai stufi di attendere, consapevoli che per ripartire bisogna innanzitutto sgomberare il centro dalle macerie, dai cumuli di massi che sovrastano il loro paesaggio, poiché non si tratta più di una questione prettamente ambientale ma soprattutto morale. Solo chi è a stretto contatto tutti i giorni con questa tragedia può capire qual è la condizione psico-fisica e morale degli aquilani. “La percezione che uno ha delle situazioni quando le vive sulla propria pelle è completamente diversa, è tutto un altro film”. Così un giornalista aquilano in una recente intervista, auspicando che almeno si cominci a porre fine allo stato di angoscia e smarrimento che queste persone provano non vedendo una via d’uscita.
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