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Uomo e natura: la figura del druido

di Martina Pellecchia

 

 

Asfalto, case, città, cemento. Non solo, autostrade, parcheggi, automobili. Ovunque ci giriamo colpiscono il nostro sguardo, sempre, quotidianamente. E’ questa la nostra realtà. Possiamo criticarla, possiamo esprimere le parole più dure nei suoi confronti: possiamo scrivere di mari distrutti dalle petroliere, di meravigliose foreste disboscate al fine di poter costruire qualche mostro ultramoderno. Possiamo parlarne insomma, ma possiamo davvero combattere e sconfiggere una realtà del genere? Possiamo sconfiggere qualcosa che è, ormai, insito in noi?

La natura è una realtà che, in fondo, nessuno di noi, vivendo e crescendo in un contesto urbanistico, ha mai realmente conosciuto, nella sua profondità, nella sua essenza più intima. E l’unica cosa che, purtroppo, possiamo fare a questo punto per il suo bene è il tentativo di salvare quello che, con il passare del tempo, abbiamo portato alla rovina. C’è uno slogan new age che recita ‘ Quando taglierete l’ultimo albero, pescherete l’ultimo pesce e avvelenerete l’ultimo fiume vi accorgerete che il denaro non si può mangiare’; esso sta a sottolineare l’enorme senso di piacere che proveremmo se potessimo avvicinarci a qualcosa che non fa parte di noi, qualcosa che è fuori di noi, altro da noi. E se quanto detto accade è perchè ciò che possediamo non ci fa stare realmente bene. Stando così le cose, dunque, significa che è proprio in ciò che sta lentamente scomparendo che si nasconde, per noi, la vera possibilità di essere felici? Incuriosita, allora, da simili interrogativi, ho basato la mia inchiesta su un personaggio storico; un personaggio che viene spesso citato quando si parla di miti e di esoterismo, ma che, purtroppo, è caduto nel dimenticatoio. Ho voluto riscoprire come vivesse l’uomo che ha sempre vissuto dalla ‘parte’ opposta rispetto alla nostra: l’uomo che conosce solo l’intima realtà della natura e non la materialistica era moderna. Insomma, ho voluto analizzare la figura del druido.

La religione dei druidi nasce presso le popolazioni celtiche nell’era precristiana. Non sono giunte a noi molte notizie relative ad essi a causa della mancanza di documenti scritti; si ritiene, infatti, che la loro cultura si tramandasse oralmente e che tutte le loro credenze e tradizioni si apprendevano in dodici lunghi anni. La loro religione si basava interamente su un rapporto e uno scambio reciproco fra spirito umano e spirito naturale e le loro divinità erano insite negli alberi, nel cielo e nella terra: essi non cercavano di dominare la natura ma volevano essere parte integrante di essa. Il rapporto del druido con la natura era di intima convivenza, basata principalmente sulla totale consapevolezza che esistesse un’unica ‘Anima Universale’ che aveva lo scopo di riunire gli uomini; la onoravano tramite l’adorazione di un albero, chiamato ‘l’albero della vita’ (spesso una quercia) che simboleggiava l’unione tra terra, luce e cielo.

Spesso i druidi venivano criticati per il tradizionale modus operandi dei loro sacrifici propiziatori: spesso si narra che essi siano stati, addirittura, artefici di sacrifici umani (si tramanda, infatti, che custodissero i malfattori per un periodo di cinque anni prima di offrirli in sacrificio agli dei insiti nella natura. Ovvero, li uccidevano a colpi di frecce o li crocifiggevano nei loro luoghi sacri e poi ne bruciavano i corpi in gabbie di legno o in fantocci di vimini). Se tali sacrifici avvenivano era solo perché la vita, per loro, non aveva lo stesso significato che ha per noi. Per i druidi, infatti, la vita era ciclica, la morte non era la fine ma un nuovo inizio: una volta morti lo spirito umano si sarebbe ricongiunto a quello della natura ed avrebbe vissuto eternamente. Nei cicli della natura si trovava, dunque, l’elemento divino e le loro feste, caratterizzate da balli e canti, si celebravano proprio in onore di questa unione e con il cambiamento di un ciclo si credeva che si aprissero delle porte per poter comunicare col mondo dei morti.

Insomma, ciò che si è creato fra il druido e l’uomo si potrebbe definire come una sorta di patto di alleanza. Il mondo vegetale non ha segreti per questi uomini: ne conoscono tutti i misteri, a partire dalle rocce, a proseguire con le erbe e a finire con i ruscelli. Per essi, infatti, anche l’acqua è sacra, identificata come fonte di vita e confine stesso dell’aldilà. Anche il fuoco è sacro perchè considerato fonte di calore e strumento indispensabile per scacciare le tenebre.

La vita dei druidi, a differenza della nostra, si basava sulla ricerca della neutralità: non esistevano un bene e un male e tutte le loro azioni erano sinonimo di equilibrio. Il loro stato d’animo, infatti, era sempre in equilibrio, capace di trarre insegnamenti da qualsiasi cosa e sentimento. Questo equilibrio era capace di farli sentire in pace con se stessi e con gli altri ed erano capaci di trasmettere tale sentimento di pace in ogni elemento della natura e in tutto ciò che li circondava. Il druido era, quindi, colui che aveva la possibilità di riuscire a vivere serenamente anche in uno stato privato di ogni cosa, stando semplicemente a contatto con se stesso; mentre noi, oggi, anche avendo tutto e non essendo privati di nulla, non ci sentiamo mai soddisfatti: il nostro animo è sempre irrequieto e tende sempre a desiderare ciò che non può possedere.

Ecco perché, a questo punto, l’interrogativo fondamentale diviene un altro; bisogna, cioè, domandarsi quale, tra i due, sia il modo migliore e più felice di condurre la propria esistenza.

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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