
Flotte aliene invadono la Terra. La causa è il collasso degli ecosistemi
di Simone Malacarne
Il surriscaldamento del nostro piccolo pianeta sta mettendo in movimento forze più grandi di noi, stuzzicando gli interessi di realtà che avremmo preferito restassero sopite, suscitando frenesie di invasione a chi avremmo preferito se ne restasse tranquillo a casa propria. Stiamo parlando di uccelli.
Dell’equilibrio delicatissimo di ciò che viene chiamato, a ragione, “sistema natura”, i migratori costituiscono un pilastro fondamentale e questo pilastro sta oscillando in maniera preoccupante. Non ci resta quindi che misurare la fluttuazione ed assumerla ad indicatore. I migratori hanno sviluppato nel corso dei millenni, grazie alla selezione naturale, un complesso sistema di rotte finemente modellato in funzione delle variazioni stagionali. È proprio questo sistema di rotte a rendere gli uccelli migratori delle efficienti sentinelle dell’impatto che le variazioni climatiche operano nell’ambiente in cui viviamo. Che cosa ci stanno gridando, ora?
La Lipu (Lega Italiana Protezione Uccelli) ha dichiarato che «i rischi che gravano sulla natura, nel caso si confermino gli scenari di un riscaldamento climatico pari a due gradi o addirittura di tre gradi entro fine secolo, come ipotizzato nel 2008 dall’Atlante climatico degli uccelli nidificanti in Europa realizzato da BirdLife International con l’Università di Durham e la Rspb, sono quelli di uno spostamento dell’areale di riproduzione degli uccelli di centinaia di chilometri verso Nord, che causerà estinzioni di molte specie in particolare di quelle endemiche o molto concentrate. In Italia sono 15 le specie che rischiano di estinguersi come nidificanti, tra cui alcune specie di aironi, gabbiani e rapaci».
Rotte migratorie consolidate da sempre si sfaldano, si aprono, deviano senza controllo. Specie alloctone, aliene, sbarcano su territori mai visitati prima, scatenando il caos tra la popolazione locale. Risulta evidente che ciò uno dei protagonisti di questi mutamenti sia il cambiamento del clima nelle zone abitualmente occupate e attraversate dall’avifauna. Se la stagione fredda si accorcia, i fiori e gli insetti appaiono in anticipo, anche gli uccelli migratori imparano a tornare presto dalle zone di svernamento. Se l’aria diventa troppo calda, si spostano in luoghi poco prima inospitali. Numerosi uccelli hanno potuto colonizzare nuovi spazi anche approfittando del trasporto di merci, attraverso il loro acquisto come animali esotici o da compagnia, o in funzione di un deliberato inserimento degli stessi all’interno di un ecosistema, ma è il cambiamento climatico che spinge gli uccelli a sperimentare nuove soluzioni, a spingersi un po’ più in là. Migrare, svernare, nidificare in lidi sconosciuti. A subirne gravi danni è un po’ qualsiasi cosa, vivente e non, in tutto il pianeta. Che le specie alloctone siano potenzialmente pericolose è noto a tutti, da sempre. Capita che si sviluppino incontrollatamente, siano vettore di nuove malattie, riducano il valore dell’acqua e del terreno, cerchino di assumere l’egemonia del territorio, decimino le specie concorrenti e sterminino le fonti del loro nutrimento.
Il global warming sta mutando il panorama faunistico. Alcuni hanno osservato incrementi locali di gruppi nidificanti in Italia e c’è chi potrebbe pensare che l’aumento delle temperature possa risolversi positivamente, almeno nel breve-medio periodo, per un buon numero di specie. Ma non dimentichiamoci degli effetti che subiscono quelle che ad invadere altri “pianeti” non ce la fanno proprio. Fernando Spina, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, esperto internazionale di natura ed ornitologia, ha le idee piuttosto chiare.
«Dipende tutto dalla prospettiva; è indubbio che ci saranno specie che si avvantaggeranno dal riscaldamento globale, ma molte saranno quelle che non saranno in grado di adattarsi ai mutamenti semplicemente per ragioni di rapidità di questi ultimi, alla luce del tempo necessario alla selezione per agire introducendo le necessarie modifiche comportamentali/ecologiche. Le risultanze che lo scorso anno, sulla base delle lunghe serie di dati di inanellamento primaverile sull’Isola di Capri, abbiamo pubblicato su Science hanno evidenziato, per la prima volta, effetti di micro-evoluzione causati dal mutamento climatico sulla base genetica del calendario di partenza degli uccelli dall’Africa in primavera. Questo conferma quanto il mutamento sia già profondamente in atto, e quanto rapidamente gli uccelli si sforzino per adattarsi ed esso. Temo comunque, nel complesso, che i vantaggi per alcune specie non potranno compensare gli stravolgimenti ecologici che si abbatteranno sulle comunità animali e sulla biodiversità in generale in conseguenza del mutamento climatico. Ancora una volta l’uomo mostra appieno la sua cecità».
Acridotheres tristis, o Maina Comune
Sono almeno una quarantina gli uccelli alloctoni in Italia, e alcune specie fanno parte dei famigerati “100 of the worst”, l’elenco delle 100 specie aliene più dannose del mondo. Lo Storno Comune ad esempio ha più volte dimostrato di essere in grado di distruggere interi raccolti e recenti studi hanno evidenziato come le sue feci, presenti in grandi quantità in ambito urbano, possano diffondere malattie. La Maina si nutre dei raccolti ed è fortemente competitiva con gli altri uccelli, tanto da predarne uova e piccoli, mettendo a rischio la loro sopravvivenza è sospettata di essere vettore di malattie e parassiti ed i suoi potenti richiami creano un notevole disturbo. Ma non solo la fauna aviaria è coinvolta nell’attuale sommovimento della natura.
Gli animali stanno perdendo la bussola non più unicamente in virtù di un mondo che cambia, per i piccoli spostamenti magnetici o per il ciclico cambiamento climatico. Noi uomini stiamo esasperando certi e meccanismi e ne stiamo inserendo altri di completamente nuovi (si prenda ad esempio il fenomeno dell’illuminazione notturna). Nessuna sorpresa quindi, che mentre gli uccelli si schiantano contro i palazzi anche cetacei, mammiferi, anfibi ed insetti fanno fatica a trovarsi una strada.
L’Intergovernmental Panel on Climate Change, organo scientifico intergovernativo, ha riconosciuto da tempo gli effetti del cambiamento climatico sulla biodiversità degli ecosistemi, come ha riconosciuto l’influenza che su di esso hanno le nostre azioni. Numerosissime ricerche (come quella del dottor Castrota, dell’I.S.P.R.A, sulla realtà marina) hanno dimostrato quanto il fenomeno dell’insediamento di specie aliene mini seriamente tale diversità.
Esaminando il grafico elaborato dal progetto DAISIE (Delivering Alien Invasive Species Inventories for Europe), ricerca finanziata dall’UE, possiamo agevolmente considerare l’aumento esponenziale della fauna estranea all’interno dei territori della comunità europea. Osserviamo la curva delle specie extraeuropee: per secoli il numero delle specie esotiche introdotte è stato pressoché stazionario, sulle 600, per poi impennarsi dagli inizi dell’800 sino alle 2.700 e oltre dei giorni nostri.
Il grafico della DAISIE
Ovviamente non tutto il fenomeno è da demonizzare, è sempre necessario fare gli opportuni distinguo. La nostra tortorina orientale ce la teniamo con piacere, ormai è di casa. Ma si sta intervenendo efficacemente nei contesti che lo necessitano? Sappiamo che la situazione attuale è fonte di gravi preoccupazione sotto diversi aspetti. Le ricadute negative spaziano dalla perdita di bellezza naturale a problemi sanitari, culturali, socio-economici. Un recente rapporto stima che più di 12 miliardi di euro annui se ne vadano in danni e costi per il controllo delle specie alloctone invasive. È un calcolo prudente, basato sulle spese documentate: la cifra reale deve essere molto più elevata.
Come accade, quindi, che l’Europa (assieme ai singoli stati europei) continua a non avere una strategia adeguata in merito? Come può essere che il vertice mondiale di Durban, indetto per sostituire lo scaduto trattato di Kyoto, abbia deliberato di rimandare al 2015 la stipulazione di un nuovo accordo anti gas serra, suscitando sgomento nella comunità scientifica?
Conviene scrivere che anche noi abbiamo le nostre chance. Lo stivale vanta un’importante area di sosta, sul delta del Po, delle specie migratorie. Si tratta di un crocevia naturale per innumerevoli rotte di uccelli. È particolarmente importante riflettere su quanto sia fondamentale che questi ultimi possano trovare ambienti idonei ed opportunità di alimentazione. Questo ci dà la misura, come torna a dire Fernando Spina, della «responsabilità che in particolare abbiamo anche noi in Italia, come italiani, nella conservazione della biodiversità degli uccelli del nostro paese ed in senso molto più vasto di tutta quanta Europa». Come italiani.
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