
Archeostorie. L’età del Ferro e l’Italia Preromana
di Michele Dall’Aglio
Tutti i caratteri dei culti delle acque precedentemente trattati si evidenziarono maggiormente nell’età del Ferro, ma con una novità: un salto di qualità della religione. Da una tipologia totemico – animistico delle forze della natura- si passa ad un tipo razionalizzato con divinità antropomorfe, avvenuto nella penisola grazie alle influenze greche. In questo periodo si assiste ad un delinearsi di confini sempre più netti tra culti idrici e acque di culto, proprio grazie alla definizione di un sistema di déi con peculiari capacità e poteri.
Tuttavia, in zone di confine o di conquista, tali caratteri si sfumano in una compenetrazione di elementi di religioni, popolazioni, di valori e ideologie diverse. Da quanto già scritto, acqua e sole erano strettamente legati: l’astro è visto come guerriero, dispensatore di vita e di morte. Per i Greci il sole è rappresentato da un cocchio durante il dì e da una barca trainata da cigni, o in alcuni altri casi uccelli acquatici non identificabili, durante la notte mentre naviga negli inferi. Inoltre la divinità solare è armata di frecce con le quali sparge epidemie, come spesso attestato nei miti per Apollo. Per i Celti, pur presentando come simbolo la ruota raggiata del carro, ha come elementi distintivi il calderone e armi appuntite come le spade.
I calderoni sono rotondi, richiamando la forma dell’astro, contengono acqua che si scalda, grazie al fuoco, cuocendo il cibo – nutrimento. Inoltre simboleggiano anche il ventre della terra – utero materno dove si forma e cresce il feto, e, quindi, sede della vita e quint’essenza del focolare domestico. Non è un caso infatti, che nelle favole, la strega abbia un calderone eternamente ribollente di sostanze mefitiche e mortali, la fattucchiera si nutre di bambini, togliendo dunque la vita e divenendo un’immagine pervertita della realtà domestica e familiare. Le armi appuntite gettate nelle acque naturali richiamavano la penetrazione dei raggi solari nelle acque. Spesso le fate, che abitavano questi corsi o specchi d’acqua erano le figlie del dio del sole e dispensavano doni ai campioni e ai guerrieri valorosi. Una trasposizione medievale di questa credenza la troviamo nel ciclo arturiano. La spada – raggio donata al sole mediante la deposizione in acqua viene donata ad Artù dalla Dama del Lago, affinchè la adoperi per grandi imprese e per la difesa della Fede. Il re, in punto di morte, obbliga l’unico suo cavaliere rimasto in vita a gettare l’arma nuovamente in uno specchio d’acqua, dove emerge una mano pronta a brandirla, per trascinarla sotto alle onde.
Premesso ciò, bisogna subito distinguere una cosa, vale a dire che le connessioni tra acqua e sole per i Greci non vanno oltre a quelle qui enunciate. I culti idrici greci, infatti, furono ben presto posti in relazione con le divinità direttamente legate alle acque, come gli dei fluviali, le ninfe etc., oppure con eventi particolari, come ad esempio per le idroforie.
Queste feste si tenevano il terzo giorno degli Anthesteria, le feste attiche in onore di Dioniso, all’inizio della primavera. In quest’occasione si riempivano le anfore di acqua fresca attinta alle fontane per dissetare le anime dei defunti, per ricordare l’alluvione primordiale dal quale si erano salvati Pirra e Deucalione. Ibrida, potremmo dire, è, invece, la situazione per le popolazioni che abitavano la penisola: spesso ci troviamo di fronte o a culti solari legati all’acqua o a culti idrici legati a divinità specifiche come le ninfe, assai frequentemente comunque connessi a proprietà salutari dell’elemento idrico. Ecco, quindi, fiorire tutta quella serie di santuari a cielo aperto o in grotta, con edifici di culto o meno, ai quali si andranno a sovrapporre in età romana divinità specifiche come Minerva o non meglio definite Matres, ninfe e così via.
In questi casi frequenti sono i ritrovamenti di stipi votive, contenenti ex voto, oggetti donati dai fedeli alla divinità in cambio, o come piccolo anticipo, di una grazia ricevuta esattamente come si faceva anche in Italia fino ai primi del ‘900 nei grandi santuari, particolarmente in quelli mariani. Tali oggetti venivano acquistati nei pressi dei luoghi sacri ed erano di diversi tipi e per tutte le tasche. Si andava dai bronzetti raffiguranti offerenti o le divinità venerate in quel sito, alle immagini di parti del corpo umano che si volevano curare in terracotta. Nei casi in cui si fosse chiesta agli dei una gravidanza serena e felice si offrivano statue fittili di bambini in fasce.
Le persone ricche, appartenenti all’aristocrazia, spesso erano gli stessi costruttori di un edificio cultuale per lo scioglimento di un voto, oppure donavano vere e proprie opere d’arte che abbellivano il santuario. Sono proprio questi manufatti, rinvenuti ammassati nelle discariche annesse al tempio, che, frequentemente, ci fanno riconoscere i luoghi sacri in cui si svolgeva una fervente vita religiosa, le finalità del culto e le divinità onorate. Queste ultime, soprattutto in Etruria, talvolta non avevano culti separati, ma occupavano lo stesso templum. Con tale parola si indicava qualunque luogo consacrato ad una divinità, sia che fosse una costruzione sia che si trattasse di un’area completamente libera.
Non ci deve, però, trarre in inganno il binomio “culto delle acque – proprietà terapeutiche delle acque”. Infatti sono documentati anche presso tutte le popolazioni della penisola culti delle Ninfe o di altre divinità per i corsi e specchi d’acqua e sorgenti che di curativo non hanno proprio nulla. Un accenno a parte merita la figura ed il culto di Ercole presso gli Italici e gli Etruschi, dal momento che molte sue gesta, connesse alla conquista dei pomi delle Esperidi, si svolgono in Italia e, in particolare, presso le sponde del Po.
Del carattere civilizzatore del semidio greco abbiamo già scritto. Si potrebbe pensare, quasi, ad un Ercole – idraulico, che risolve ogni problema causato dall’elemento idrico che si tratti di inondazioni o di effetti nocivi delle paludi. Basta ricordare il mito degli uccelli stinfalici o dell’idra di Lerna. Sebbene siano miti ambientati in Grecia, dovettero avere forte risonanza in Italia. La figura dell’eroe, passata attraverso le rivisitazioni tiranniche attiche, arrivò in Etruria, dove non solo fu divinizzato, tramite il mito della sua suzione del latte divino dal seno di Giunone, ma divenne anche il simbolo e il protettore dei lucumoni e dei re etruschi di Roma. Ciò portò anche alla creazione di numerosi miti legati ad Ercole, ambientati anche in suolo italico. Ecco, quindi, che numerosi santuari erculei sono legati all’irregimentazione delle acque, come quelli di Veio (RM), Sulmona (AQ) e Corfinio (AQ).
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