
Un sì, per dire addio al terremoto
“Cesare e Silvia si sono sposati oggi in un giardino a Mirandola. Da un mese vivono in roulotte a causa del sisma, con i loro due bambini di 4 e 2 anni. Da quando c’è stata la scossa stavano organizzando il loro matrimonio, ma la Rocca di Quarantoli è crollata, così hanno scelto un parco per dirsi sì”.
La notizia d’agenzia, rilanciata da repubblica.it, domenica 29 luglio, ci restituisce il dramma di una terra pesantemente provata dal terremoto, che però vuole, persino festosamente, tornare a vivere. Normalmente. Come si faceva sino al maggio scorso, prima che la terra cominciasse a tremare. Con una forza rovinosa che nemmeno i poteri e saperi deputati avevano messo in conto o preventivato.
Naturalmente del senno di poi sono pieni i fossi e dunque mi guarderò, buon ultimo in materia di difesa del territorio, dal puntare il dito o tentare azzardate, ancorchè pensose, riflessioni. Mi limiterò a segnalare come da parte degli scienziati più accreditati e dei tecnici più avvertiti si levi unanime la raccomandazione pressante a considerare il sisma che ha devastato i territori di Modena, Ferrara, Mantova come una “calamità epocale”. Che proprio perché non superficiale, ma scaturita da movimenti tellurici profondi, obbliga tutti a pensare all’opera di ricostruzione con un approccio assolutamente innovativo. Perlomeno per il nostro paese che dai tanti catastrofici terremoti che l’hanno colpito nell’ultimo secolo ( a partire da quello di Messina del 1908) non ha mai tratto lezioni e insegnamenti. Per noi il Giappone è sempre stato un altro pianeta: per gli elevati standard di anti-sismicità di strade, edifici e case e per la straordinaria capacità popolare di non farsi prendere dal panico in caso di cataclismi.
Ricordare che dal terremoto dell’Irpinia, per tacere di quello del Belice, ogni tragedia è stata occasione di speculazioni, ritardi e ricostruzioni “provvisorie”, che durano ancor oggi a distanza di trent’anni, è un’ovvietà. Drammatica. Non lo è però chiedere che questa volta si provi, si cerchi con determinazione di voltare pagina. Di cambiare registro. Di provare a essere all’altezza di una situazione che rischia di non essere più un evento eccezionale. In un mondo che è e sarà sempre più esposto a eventi climatici, metereologici e ambientali estremi, anche per effetto di uno sfruttamento selvaggio delle risorse naturali e di uno sviluppo industriale “illimitato”.
Insomma occore prudenza, vigilanza, cautele e più in generale un’idea di sicurezza che non giochi al risparmio e consideri che difendere il territorio costa. Molto. Ma poi, come si scopre immancabilmente dopo ogni disastro, calamità, inondazione, smottamento, sempre molto meno di quello che serve per ricostruire e mettere in sicurezza i luoghi devastati.
E’ con questo auspicio che abbiamo dato conto con articoli e servizi fotografici del sisma emiliano e che di esso continueremo ad occuparci, con particolare attenzione alle modalità e ai costi della ricostruzione. Lo faremo da vicino, in prima battuta, attraverso il racconto di una nostra redattrice, coinvolta anche materialmente dal terremoto. Con lo stesso spirito che ha animato la fatica di altre tre nostre redattrici che sono andate a L’Aquila. Cosa hanno visto a tre anni da una catastrofe che ha mosso un fiume di denaro ma che non ha smosso resti e calcinacci che continuano a rendere off limits il centro storico aquilano, lo raccontano in uno speciale che sono orgoglioso di presentare. inchiestaquila 2012: notizie, dati, foto, video e interviste che vi invito caldamente a leggere e fare leggere. E’ il contributo giornalistico che Giulia Rossi, Gloria Ricciotti e Giovanna Pavesi danno perchè dalle macerie emerga un paese migliore.
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