
Terremoto in Emilia, il punto della situazione. Parte Seconda.
di Laura Benatti
Si tenta di ripartire tra mille difficoltà a Novi di Modena, così come nella sua frazione Rovereto. Si tenta di ripartire a Cavezzo, Mirandola, Concordia e in tutti gli altri paesi colpiti. A tre mesi dal primo degli infiniti terremoti che hanno devastato la Bassa, alcuni negozi hanno riaperto, in casette di legno o container comprati autonomamente, molti altri sono in attesa di capire come verranno dati i finanziamenti, prima di fare investimenti su strutture provvisorie e prefabbricati; altri ancora, in numero insospettabilmente alto, hanno deciso che resteranno chiusi per sempre.
La difficile rinascita ed il problema case.
I centri storici, sede della maggior parte delle attività commerciali, sono inagibili, in molti casi ancora inaccessibili, come a Cavezzo. Così i pochi negozianti che sono riusciti ad organizzarsi per riaprire si sono sistemati in aree marginali, per poter comunque continuare ad offrire un servizio ai cittadini, per cercare di arginare la fuga dai paesini, già avvenuta in questi mesi a livelli elevati. La proprietaria di un’edicola di Novi, che adesso vende i giornali dentro un afoso container, ci spiega che finora i negozianti non hanno ricevuto aiuti economici per ricominciare; il Comune ha fatto una riunione con i commercianti spiegando che i fondi arriveranno, in qualche modo, ma per ora tutto è fermo, sospeso in queste settimane d’estate.
Effettivamente, la Regione ha pubblicato un bando che mette a disposizione 10 milioni di Euro per consentire la riorganizzazione delle attività produttive e commerciali; tuttavia il fondo che andrà a prelevare risorse europee, non è ancora stato avviato.
Anche a Rovereto, popolosa frazione di Novi, qualche negoziante è riuscito a riaprire, e anche così si cerca di tornare ad una parvenza di normalità. Nella piccola striscia di parcheggi davanti al cimitero sono state installate le casette di legno di gelateria, bar e merceria, i container delle banche, un furgone che è diventato il nuovo ufficio postale e davanti al quale alcune persone stanno in fila scocciate proprio come facevano nella vera sede delle Poste. La gelataia prepara coni e coppette sorridendo, perché è riuscita a portare tutti i suoi macchinari nella piccola ma graziosa casetta di legno nuova, facendo buon viso a cattivo gioco. A poche centinaia di metri, ha riaperto anche il supermercato, in un grande prefabbricato inaugurato da un paio di settimane.
Qui si sta procedendo a mettere in sicurezza il centro, con puntellamenti a tappeto ed un paio di demolizioni, e la via principale è stata riaperta alla circolazione solo per pedoni e biciclette, così i pochi abitanti di Rovereto rimasti in paese si aggirano come spettri tra puntelli di legno, “cerotti” d’acciaio che tappezzano i muri, transenne, osservando sbigottiti quel che resta delle loro case e dei loro negozi. La riduzione della zona rossa ha permesso ad un forno, una pizzeria e alla tabaccheria, situati nei pochissimi edifici miracolosamente illesi ma situati sulla via principale, di riaprire nelle proprie sedi. Un piccolo segnale di speranza in una comunità che si chiede che cosa ne sarà di Rovereto. Questo paese, che conta più di 4000 abitanti, è stato valutato dal Dipartimento di Protezione Civile che ha compiuto i rilievi macrosismici, come il più devastato dalla violenza del terremoto: i diversi crolli parziali e cedimenti gravi anche ad alcuni edifici di recente costruzione, oltre ai danni nel centro storico, sono eclatanti persino agli occhi degli esperti, che hanno attribuito alla località un grado VIII della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg) che misura l’intensità dei terremoti nei centri abitati, riscontrando il livello più alto fra tutti i paesi dell’area colpita.
La situazione dei danni agli edifici è gravissima in tutta la Bassa; ed uno dei problemi più urgenti, con l’avvicinarsi dell’autunno, è quello di mettere al coperto chi è rimasto senza casa.
Le persone ospitate nei campi e nelle strutture della Protezione Civile sono decisamente calate rispetto alle prime settimane, ma ad oggi sono ancora più di 5000.
La Regione conta, entro l’autunno, di chiudere le tendopoli, e a questo proposito lo scorso 14 agosto sono state emanate tre ordinanze (n. 23, 24 e 25) che dispongono i dettagli del “Programma Casa per la transizione e l’avvio della ricostruzione”.
Le azioni definite dall’ordinanza n. 23 sono:
– Il Nuovo Contributo per l’Autonoma sistemazione (CAS);
– Il programma alloggi vuoti per l’affitto;
– L’avvio della ricostruzione e riparazione delle abitazioni con concessione di contributi fino all’80%;
– Il recupero degli alloggi ACER (Azienda Casa Emilia Romagna, l’ente pubblico economico di gestione dell’edilizia sociale) danneggiati;
– Installazione di moduli temporanei rimovibili nelle aree rurali e, come soluzione residuale, nei centri urbani gravemente danneggiati.
Il CAS è destinato alle famiglie che hanno l’abitazione inagibile, ma che si sono organizzate autonomamente fin dai primi giorni per procurarsi un alloggio, chi in tendopoli fai-da-te, in roulotte e camper noleggiati o comprati, chi acquistando casette di legno o prefabbricati, chi prendendo in affitto un appartamento per qualche mese, tutti in attesa di riuscire a ricostruire o ristrutturare la casa.
Il nuovo CAS, messo a punto con l’ordinanza n. 24, è concesso dalla Regione a partire dal 1^ agosto, andando a sostituire il precedente CAS emanato con la Determinazione n. 506 del 18/06/2012 da parte dell’Agenzia Regionale di Protezione Civile.
Con questo nuovo dispositivo vengono riconosciuti 200 Euro mensili per ogni componente il nucleo famigliare, con contributi aggiuntivi in base alla presenza di disabili, anziani o minori di 14 anni.
Il contributo verrà stanziato fino al ripristino dell’agibilità dell’abitazione, ma comunque non oltre il termine dello stato d’emergenza (il 31 maggio 2013).
Nell’ordinanza si legge inoltre che «agli oneri presunti in complessivi € 39.200.000,00 […] si farà fronte con le risorse del Fondo per la ricostruzione». E questo è il tasto dolente; infatti il Fondo per la ricostruzione sarà sbloccato dal 1^ gennaio 2013, e nonostante dalla Regione sia stata espressa la volontà di anticipare questa data, è probabile che fino ad allora di soldi non se ne vedano. Nessun Comune finora ha potuto erogare il CAS, quindi le famiglie si stanno arrangiando con le proprie risorse, in attesa di ricevere gli aiuti.
Poi bisognerà sistemare le persone che ancora alloggiano nei campi della Protezione Civile, che entro l’autunno dovranno essere smantellati; il programma su cui Errani contava molto, quello della ricerca e distribuzione degli appartamenti sfitti, si è rivelato un mezzo fallimento: nel territorio colpito non ci saranno probabilmente abbastanza case vuote per ospitare tutti, quindi l’installazione di moduli abitativi temporanei, fortemente osteggiata dal Presidente della Regione e considerata come residuale nell’ordinanza, in molti casi sarà l’unica soluzione possibile, soprattutto considerando le caratteristiche dell’area colpita dal sisma: non si tratta di una grande città, ma di una costellazione di paeselli in una sterminata area rurale ed industriale, quindi le case sfitte sono poche e le persone comprensibilmente preferiscono restare vicino alle loro abitazioni per controllare la ricostruzione.
Nella Bassa adesso si attende, guardando gli edifici puntellati e gli spiazzi su cui sorgevano le case demolite, sospesi tra angoscia e speranza, continuando a lavorare tra riparazioni e traslochi, confidando in tempi migliori. In fondo siamo bravi ad arrangiarci.
FONTI:
www.protezionecivile.emilia-romagna.it
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