
Terremoto: il lavoro dei volontari
di Vanessa Allegri
Su Wateronline abbiamo pubblicato reportage dedicati al terremoto, ai problemi legati alla ricostruzione, alla devastazione delle città. Ma non abbiamo mai dedicato un articolo sulle testimonianze. La nostra testata, infatti, si occupa di paesaggio ma per una volta abbiamo deciso di pubblicare due storie, le testimonianze di due volontarie che hanno messo del loro per iniziare il processo di ricostruzione. Perché la ricostruzione passa anche da qui.
Silvia p.
“Eravamo come una grande famiglia”
«Il primo impatto con il campo è molto emozionante. La gente ha bisogno dei beni primari, cioè il mangiare». Esordisce così il racconto della militessa dell’Assistenza Pubblica di Parma Grazia Tagliavini, volontaria per due volte presso il Campo Mensa allestito dalla Regione Emilia-Romagna a Mirandola, ovvero dal 24 al 27 giugno e a fine luglio.
Era la prima volta che viveva una simile esperienza ma non esiterebbe a ripartire. Eppure, come spiega lei stessa, le sue giornate erano tutt’altro che rilassanti: «La vita del campo è simile a quella militare: la sveglia era alle 5.30 del mattino per preparare la colazione, che servivamo dalle 7 alle 9. Poi chiudevamo, pulivamo bene i vassoi, spazzavamo per terra e riordinavamo. Alle 10 tornavamo al lavoro in cucina per lavare la verdura e preparare la macedonia da servire durante il pranzo a partire da mezzogiorno. Il pasto più frequentato era la cena, perché rientravano nelle tendopoli tutti coloro che durante il giorno riuscivano a lavorare».
Lo spirito che però vigeva all’interno del campo si discostava nettamente da quello marziale. I volontari mettevano una tale attenzione nella preparazione dei pasti e nella cura di ogni dettaglio – come la tavola ben apparecchiata e il cibo esposto in modo ordinato – da far sentire gli sfollati come i clienti di un prestigioso hotel. Cercavano inoltre di rispettare tutte le religioni, offrendo sempre un’alternativa alla carne come la scatoletta di tonno o la mozzarella. A fine luglio c’era il problema del ramadan, così le persone musulmane venivano a ritirare le vaschette da consumare dopo il tramonto.
Lo scopo era attenuare il più possibile il disagio che vivono le popolazioni colpite dal sisma e ricreare attraverso il rituale del pasto quella quotidianità che è stata bruscamente spazzata via. «Io davo il pane alle persone e credo che sia uno dei più bei gesti che si possa fare» prosegue Grazia. Questo le ha permesso di entrare nelle vite degli abitanti di Mirandola da un ingresso privilegiato, sostenuta dall’intenso valore di condivisione e convivialità del cibo. «Iniziavamo a conoscere le abitudini delle varie persone: quella che non mangiava la frutta, la ragazzina a dieta, la bambina a cui dovevo fare la paternale affinché mangiasse per colazione e il bambino cicciottello che voleva sempre il bis di Nutella. Eravamo come una grande famiglia».
Una parola che non si stanca di ripetere è “dignità”, caratteristica che accumunava tutti indistintamente all’interno del campo. Dal più giovane al più anziano le persone si presentavano sempre in ordine, salutando educatamente e dimostrando grande e sincero apprezzamento per chi si trovava lì a dare una mano.
L’Emilia ha reagito al terremoto con grande forza, sfruttando la rabbia in modo positivo e trasformandola in voglia di ricominciare, senza mai piangersi addosso. «Le lacrime scendevano solo quando ci salutavano» confessa Grazia «ho iniziato a piangere quando sono partita da Mirandola e ho smesso dopo tre giorni». Il momento più emozionante? «Quando una bimba mi ha portato il suo peluche per presentarmelo e ringraziarmi. Se mi avessero dato una coltellata probabilmente avrei sanguinato meno». Il peluche era un cagnolino di nome Fido e quella bambina può simboleggiare tutti gli abitanti di Mirandola e dintorni, che hanno affidato ciò che di più caro e prezioso avessero nelle mani dei volontari, i quali hanno custodito la fiducia riposta in loro e salvaguardato questo splendido patrimonio umano.
“Vado là per aiutarli… invece sono loro ad aiutare me”
Mirandola ha lasciato una traccia indelebile anche nel cuore di Annalisa Michielon. La sua avventura è iniziata mercoledì 11 luglio e si è conclusa la domenica successiva. L’emergenza era ormai rientrata e, in seguito ai controlli di agibilità, le persone potevano rientrare gradualmente nelle abitazioni: «Prima che partissi una signora mi è corsa incontro abbracciandomi e dicendo “Domani torno a casa”, mi sono messa a piangere a più non posso» racconta Annalisa «Sorrideva sempre e ci incoraggiava così: “Forza ragazzi, lo so che fa caldo ma grazie per quello che fate”». La grande umiltà e la riconoscenza del popolo emiliano sono emerse anche in altri episodi.
Una sera, ad esempio, i volontari decidono di preparare le tigelle e il gnocco fritto includendo nel ‘pacchetto’ anche il servizio al tavolo, invece del consueto sistema self-service. Tutti sono sbalorditi e positivamente sorpresi da questo gesto «quasi come se fosse troppo, quasi come se non se lo meritassero» spiega Annalisa. «Alla fine ci hanno ringraziato e applaudito. Una signora anziana, rivolgendosi al marito, ha detto: “Che bello, stasera ci servono e un mese fa hai rischiato la vita” durante la scossa un muro della casa è crollato a un metro da lui, mentre lei era al piano terra ed è riuscita a scappare. Una coppia meravigliosa, ancora molto uniti. Erano sopravvissuti, stavano bene e questo gli bastava».
Anche i più piccoli dimostrano la loro gratitudine in modo del tutto spontaneo. Un giorno Annalisa e gli altri volontari danno a dei bambini una palla misteriosamente trovata in mezzo ad un kit anti-zanzare, dicendo loro di tenerla per giocarci insieme agli amici. «Loro ci hanno guardato e hanno risposto: “Va bene, allora vi aiutiamo a pulire i vassoi”. Non avevano nulla ma desideravano offrire qualcosa in cambio della palla regalata. Così ogni giorno venivano ad aiutarci».
Annalisa si sente strana al suo ritorno a casa. Ha un letto, un bagno, una cucina e un tetto sulla testa. Non solo: «Nel campo non c’erano divani, poltrone e nemmeno tutte le piccole comodità a cui siamo abituati. Eppure non mi mancavano, mi sembravano superflue».
In conclusione, questo viaggio dietro le quinte del terremoto in Emilia sembra terminare con un paradosso ben illustrato dalla giovane militessa: «Sono partita per Mirandola quasi con la presunzione di dire “Vado ad aiutarli” e invece ho aiutato me stessa, sono cresciuta. Lo spirito con cui la popolazione ha affrontato questa tragedia mi fa credere che un mondo migliore sia possibile, mi ha infuso ottimismo e fiducia nel prossimo, incoraggiandomi ad incrementare la mia attività di volontariato. Forse loro hanno fatto per me più di quanto io abbia fatto per loro».
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