
Il diritto di abitare
di Giovanna Pavesi
Chissà quante Wang Cuiyan ci sono in Cina. Chissà quante sono le donne, di circa 70 anni, che portano il suo stesso nome; che indossano gli stessi abiti, che si pettinano allo stesso modo, che parlano la stessa lingua, che guardano le stesse cose alla televisione. Chissà quante sono le Wang che all’ipermercato comprano i medesimi prodotti, vivono una vita, tutto sommato, normale. La storia di Wang Cuiyan, un’ “anonima” donna cinese di 70 anni, però, ha fatto in breve tempo il giro del mondo: il 3 marzo 2010, è stata sepolta viva da una scavatrice, quando un gruppo di 30-40 operai ha iniziato a demolire la sua abitazione a Wuhan, nella provincia dello Hubei.
Di storie come quella di Wang ce ne sono molte. Amnesty International ne ha denunciate parecchie: il 18 aprile 2011, alcune centinaia di uomini hanno fatto irruzione nel villaggio di Lichang, nella provincia dello Jiangsu, attaccando i contadini. Una ventina di donne sono state picchiate. Il 15 giugno 2011 la polizia di Wengchang, nella provincia del Sichuan, ha preso in ostaggio un neonato di 20 mesi e non lo ha rilasciato fino a quando la madre non ha messo la firma su un ordine di sgombero. Un rapporto di pochi giorni fa di Amnesty International, denuncia l’aumento, negli ultimi due anni, degli sgomberi forzati in Cina, ad opera delle autorità locali che, indebitatesi con le banche statali per finanziare progetti di sviluppo, cercano di recuperare denaro sequestrando e rivendendo terreni.
In tutto il paese, tanto nelle campagne quanto nelle città, gli sgomberi forzati sono accompagnati da uccisioni, pestaggi, intimidazioni e arresti. Alcune persone, per la disperazione, hanno dato vita ad una famosa (e tristemente conosciuta) forma di protesta: l’immolazione col fuoco. E’ la crescita economica, dicono alcuni. E lo dicono anche qui, nel silenzioso Occidente.
I progetti di sviluppo per costruire strade, industrie o complessi residenziali sulle terre sgomberate, sono considerati il modo più diretto per ottenere risultati visibili. Si legge, nel rapporto di Amnesty, che le persone che organizzano forme di resistenza contro gli sgomberi finiscono spesso in carcere o nei centri di rieducazione attraverso il lavoro. Sempre nel rapporto di Amnesty si leggono storie molto simili tra loro: nella provincia dello Shandong sono stati infilitti 21 mesi di rieducazione, attraverso il lavoro, a Li Hongwei, vittima di uno sgombero forzato, che aveva protestato due volte in un luogo pubblico a maggio dello scorso anno.
In alcuni casi le proteste contro gli sgomberi forzati si sono fatte violente e, in 41 casi documentati da Amnesty tra il 2009 e il 2011, le persone si sono date fuoco.
Gli sgomberi forzati rimangono uno dei principali motivi di malcontento popolare in Cina. Il premier ha riconosciuto la gravità della situazione e si è registrato qualche limitato progresso nella protezione delle persone dagli sgomberi forzati. Nuove norme in vigore dal 2011 stabiliscono che l’indennizzo non debba essere inferiore al valore di mercato dei beni espropriati e proibiscono l’uso della violenza.
La casa è il primo vero diritto percepito nel nostro secolo, tormentato dalla crisi e dalla globalizzazione. Il profitto, i soldi, il denaro, sopra ogni cosa. Questo, e molte altre storie, è ciò che rimane di un mondo che si evolve e che si muove ad una velocità impressionante. Ho provato a pensare che cosa significa essere prelevati, con la forza, dalla propria casa, per essere gettati letteralmente sulla strada. Che cosa rimane? La paura, l’inquietudine, il nulla.
Perché, se è vero quello che scriveva Ché Guevara “la mia casa continuerà a viaggiare su due gambe e i miei sogni non avranno frontiere”, è anche vero che si può sognare la rivoluzione nella propria cucina, nella propria sala, nel proprio bagno.
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