
Dieci anni fa il furto di sabbia, oggi la condanna; ma nella Bassa reggiana si continua ad aver paura del malaffare e della Mafia.
di Donato Ungaro
Nel 2003 rubarono sabbia dal letto del Po, dopo quasi un decennio sono arrivate le condanne di secondo grado; ma nella Bassa non si festeggia per il ritorno alla legalità. Anzi, dopo il rogo di nove camion, si riflette sul pericolo delle infiltrazioni mafiose.
Quasi dieci anni fa rubarono 300 tonnellate di sabbia nell’alveo del Po, nei giorni scorsi la Corte d’Appello di Bologna li ha condannati a un anno di reclusione e al pagamento dei danni a Legambiente Emilia-Romagna, che si era costituita parte civile.
Il misfatto era stato consumato nella notte tra il 26 e il 27 novembre del 2003, nei pressi di Boretto, in provincia di Reggio Emilia; Doriano Crepaldi, Filippo Bonafè, Michele Trofarello e Giancarlo Bernardiello era stati sorpresi dai carabinieri di Boretto, dal corpo forestale di Reggio Emilia e dalla polizia municipale di Guastalla al momento dell’attracco della draga “Franca B.”, di proprietà dell’impresa borettese Bacchi, ma in comodato d’uso a un’azienda con sede in provincia di Mantova; nelle stive della draga, 300 tonnellate di sabbia appena estratta dal fiume. Al capitano e ai tre marinai era stato contestato il furto di quella sabbia dall’alveo del Po.
La piaga dell’escavazione abusiva nel Po non è una novità; le indagini delle forze dell’ordine per mettere fine a uno sciempio ambientale e civile che dura da decenni è ininterrotto. I danni provocati al fiume e al suo sistema sono sotto gli occhi di tutti: abbassamento del fondo del fiume, fondamenta e piloni dei ponti oramai fuori dall’acqua e nella zona del Delta l’acqua salata del mare risale il corso del fiume.
Ma perchè si ruba la sabbia nel Po? Per fare soldi facili, principalmente, anche perchè la domanda è enorme. Non sono solo i cantieri edili tradizionali ad aver bisogno della sabbia del Po, per costruire case e palazzi; ma anche gli enti pubblici, per realizzare opere stradali e infrastruture. Si pensi alle grandi opere recentemente realizzate tra le province di Parma e Reggio Emilia, come l’Alta Velocità e gli interventi sulla rete stradale e autostradale. E la necessità di sabbia per costruire ponti, muri di sostegno, sottofondi è molto più elevata della possibilità offerta dalle cave realizzate e coltivate per l’estrazione legale della sabbia. Quindi, nove anni fa, si ricorreva al Po, all’escavazione notturna e al furto di un bene di tutti, come i sedimenti millenari del fiume, che sono pronti a essere messi sul mercato favorendo un commercio illecito e danneggiando macroscopicamente i “cavatori” onesti, costretti a pagare diritti di concessione e tasse sul materiale inerte che vendono.
Si tratta di una vera e propria emergenza ambientale, ma anche sociale; perché è facile immaginare che, dove esiste la possibilità di realizzare guadagni facili, si può ipotizzare l’interesse da parte della malavita organizzata. Infatti, appena un anno fa, il Prefetto di Reggio Emilia aveva ritirato il certficato antimafia alla Bacchi di Boretto, la quale aveva ottenuto il documento per poter partecipare alle gare per l’assegnazione di opere pubbliche. Le indagini della Dia avevano evidenziato, all’interno dei cantieri per la costruzione della tangenziale di Novellara, la presenza di persone in qualche modo collegate alla ‘ndrangheta, segnalando alla Prefettura il fatto che la Bacchi utilizzasse per l’affidamento dei sub-appalti, imprenditori in odore di illegalità; e la Prefettura ha agito di conseguenza, bloccando di fatto la realizzazione dell’opera viaria nella Bassa reggiana
Proprio a poca distanza da Novellara, a Reggiolo, appena lo scorso 8 novembre, una ditta di autotrasporti ha visto andare a fuoco, nella notte, nove camion ribaltabili utilizzati per il trasporto di sabbia, terra e materiali inerti; i proprietari dell’azienda risultano essere originari di Cutro, in provincia di Crotone e la sede stessa della ditta è in Calabria. Per il rogo, che ha determinato un danno di oltre mezzo milione di euro, si parla apertamente di dolo e azione mafiosa.
L’ombra del racket e della ‘ndragheta ha spinto gli amministratori e le forze dell’ordine a chiedere la mobilitazione dei cittadini del paese reggiano, per dire no alle infiltrazioni mafiose. Ma la paura è tanta, perchè i soldi fanno gola a molti imprenditori di pochi scrupoli, soprattutto in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo.
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