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Le strade dei rifiuti

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Nulla si distrugge, tutto si trasforma. Nulla si getta, tutto si ricicla. Tutto si butta, niente si recupera. Poco si differenzia, tanto si brucia. Molto si raccoglie, poco si getta. Impostata a filastrocca il “conflitto sul pattume” si offre in una versione gentile e “informata” che da anni però è assente. I “rifiuti”, anche nel suono, oltre che nell’odor sgradevole che emanano, sembrano capaci di suscitare solo sentimenti estremi. Visioni irriducibili. Soluzioni opposte e quasi mai ri-componibili. Vero è che da più di vent’anni i problemi dell’ambiente e della salute, nelle società industriali avanzate, sono diventati molto caldi. Particolarmente sensibili e in grado di scatenare fortissimi movimenti di opinione pubblica. Il caso dell’Ilva di Taranto è il più recente e drammatico di uno scontro epocale sui temi fondamentali della salute e del lavoro. Tuttavia, proprio per questo, servirebbe che le dispute diventassero meno preconcette e più duttili, flessibili. Più interessate a raggiungere accordi ( che come è noto sono il punto più alto ed effettivo di una ricomposizione di interessi diversi e spesso conflittuali) che non a scatenare guerre campali. Che peraltro sono sempre devastanti, anche per chi riesce alla fine a vincere. O meglio a perdere di meno.

Di solito, anche per arrivare rapidamente al tema della “guerra del pattume”, c’è sempre un difetto di informazione ( corretta e completa), piuttosto che un’incapacità di sapere ascoltare le ragioni altrui., Ovviamente ci sono gli irriducibili, i talebani. Però la stragrande maggioranza delle persone non è mai bene informata dei fatti. Conosce le cose così. Più o meno. E ciò vale per tutto ( per la riforma della scuola come per la disposizione, che in questi giorni sta scatenando polemiche infinite, sull’obbligo delle catene da neve). A prevalere largamente, quando si tratta di questioni di pancia – e lo sono quasi tutte-, è un sostanziale disinteresse, soprattutto  se la cosa o il problema non coinvolgono direttamente. O se è  più conveniente fare finta di niente. Non guardare o guardare da un’altra parte. Il caso dei rifiuti è sotto quest’aspetto perfetto. Dove e che fine facciano i nostri rifiuti lo sanno in pochi. In certi casi nemmeno gli amministratori. Figuriamoci dunque se i problemi possano essere risolti da chi parla – con poche eccezioni- per spirito preso. O per sentito dire. O per compiacere la propria parte.

Il caso dell’inceneritore di Parma è quasi ”da scuola”, da manuale. Perché sono tante, troppe le domande che non ricevono spiegazioni, se non molto parziali. Allo stesso modo in cui ci si trova a fare i conti con un problema che si trascina da 15 anni. Più o meno da quando fu spento l’inceneritore ( così si chiamava all’epoca) del Cornocchio. Per la cronaca era dello stesso tipo che è stato spento recentemente a Reggio Emilia. 15 anni in cui, mentre si costruivano ponti avveniristici, si mettevano a dimora fiori per tutto il centro, insomma si curava molto l’estetica e il decoro urbani, si esportava pattume. Come Milano che nel deccennio Novanta si trovò nella situazione in cui s’è trovata Napoli 4 anni fa. Ed è su questo ritardo storico che si scontano ora polemiche e conflitti che riescono a dare ragione sia a chi sostiene che si costruisce un termovalorizzatore fuori tempo massimo, sia a chi afferma con identica ragione che siamo l’unica città che non può e non riesce a smaltire i rifiuti che produce. Insomma un paradosso fantastico e devastante. Perché a prevalere sono da un lato  i sostenitori del “rifiuti zero” ( a prescindere dal fatto che comunque un 20% circa di pattume resta sempre come residuo da bruciare o avviare in discarica) e dall’altro quelli che vogliono che non si cambi nulla di ciò che fu deciso anni fa e che ora meritrerebbe sostanziose correzioni. E non generici impegni a usare il termovalorizzatore sin che si potrà e ce ne sarà  bisogno, nel frattempo dilazionando sine die la ricerca di soluzioni innovative e più avanzate. Una delle quali –la più urgente- sarebbe di recuperare realismo e concretezza, facendo leva anche su una ritrovata “fiducia”, però saldamente ancorata a strutture e organismi di controllo, che effettivamente vigilino su ciò che viene e che può essere incenerito.

Queste in estrema sintesi le ragioni che ci hanno spinto a confezionare questo dossier e che ci piace sintetizzare nella famosa, ancorchè in Italia molto disattesa, formula dei “ fatti sganciati dalle opinioni”. Mossi dalla voglia di fare luce sulle “strade dei rifiuti”, provando a rispondere a domande che tutti danno evidentemente per scontate senza però sapere, se interrogati, rispondere perché. Ad esempio cosa dice il “masteer plan” della comunità europea in materia di rifiuti ? Perché il nostro pattume va a finire in Germania e Olanda, che non sono paesi del terzo mondo e che si può escludere vogliano farci un favore rischiando anche di danneggiare la salute delle loro popolazioni ? E la soluzione di Reggio Emilia è così avveniristica, dunque da replicare e copiare, come sostengono i teorici più spinti del porta a porta? E a San Francisco davvero nulla si butta e tutto si ricicla, come sostiene il comitato Gestione corretta rifuti ?  E ancora è vero che le pagine sul tema di Google sono molto ambientaliste nella versione italiana e viceversa molto meno in quella inglese ?

Queste e altre domande ( con approfondimenti e interviste a tecnici e amministratori, ma anche alla “gente”) le abbiamo corredate con video e photogallery. Con spirito di terzietà, cioè da “raccontatori” di vicende dalle quali, aldilà delle nostre idee e convinzioni personali, ci siamo sforzati di tenere la giusta distanza. Con intenzione e intonazioni giornalistiche, ma anche con la voglia di qualche licenza (poetica). Come nel caso dell’”estetica del pattume” riassunta nelle immagini di impianti per il trattamento dei rifiuti che si ergono come spettacolari monumenti urbani.

 

 

Leggi l’inchiesta sui rifiuti qui : inchiestainceneritore.wordpress.com/

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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