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Era una cava abbandonata. Ora è l’Eden di Bologna

di Donato Ungaro

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Non ha nulla da invidiare al verde che circonda Milano Due o altri centri residenziali prestigiosi; ma ha una caratteristica che lo rende unico: è tutta opera di cittadini volontari. A detta di tutti, anche degli amministratori locali, è il parco più bello di Bologna; più della Montagnola e dei Giardini Margherita. E pensare che una volta era una cava abbandonata…

Una cava abbandonata, in mezzo ai palazzi di una Bologna che si stava espandendo verso nord; dove una volta erano prati, lame d’acqua e campagna, in una fetta di terra chiusa tra via di Corticella e via dell’Arcoveggio, due strade che conducono verso Ferrara. L’aria è quella del Quartiere Navile, una zona che vede la Storia e la Religione navigare su quei canali che, ancora oggi, rendono ricco d’acqua tutto il tessuto divenuto oramai cittadino a tutti gli effetti.

Erano gli anni Ottanta e il Comune di Bologna aveva preso una decisione che poteva cambiare radicalmente l’aspetto del quartiere; Palazzo D’Accursio voleva utilizzare l’area estrattiva dell’ex fornace Galotti, che aveva realizzato una cava per l’estrazione dell’argilla necessaria per il confezionamento di laterizzi in terracotta, per costruire un parcheggio al servizio della vicina zona industriale utilizzata dalle cooperative.

 

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I cittadini della zona iniziarono ad avversare l’idea del Comune di Bologna, ma non con il solito e nichilistico “Comitato per il No”; ma mettendo in campo un progetto ben definito, in cui loro, i cittadini del quartiere, erano parte attiva. «Le nostre proteste hanno raggiunto lo scopo auspicato – racconta con soddisfazione Stefano Baratti, l’attuale presidente dell’Associazione di Volontariato Ca’ Bura Onlus – e siamo riusciti a convincere l’amministrazione comunale a rivedere il Piano Regolatore Generele della zona, destinando quest’area a spazio verde». L’accordo era semplice: il Comune di Bologna sarebbe stato in ogni caso proprietario dell’area verde, sulla quale interveniva per la realizzazione del parco, ma la manutenzione e la cura venivano realizzati dai cittadini.

 

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«E la cosa ha preso subito a funzionare bene; solo dopo una decina d’anni ci siamo costituiti in associazione, mentre prima eravamo solo un gruppo di cittadini che si occupava direttamente di un bene comune. Oggi siamo una Onlus, con 185 iscritti». Ma il parco non è solo una zona verde fine a se stessa; sui prati e nello specchio d’acqua che si affaccia sul parco di diversi ettari si svolgono manifestazioni, serate di autofinanziamento, iniziative sportive. «Dopo il ’93, a seguito della nascita dell’associazione, abbiamo sottoscritto un accordo con il Quartire Navile e il Comune, con il quale ci facciamo carico della manutenzione e del controllo del parco; così siamo riusciti a realizzare anche un circuito podistico di un chilometro. Questo ci ha permesso di raggiungere accordi con La Uisp e di coinvolgere attivamente un gruppo podistico, che è entrato a far parte dell’associazione. Inoltre d’estate, realizziamo un cartellone di serate e spettacoli che portano alcune centinaia di persone; ma in ogni caso d’estate, in un fine settimana circa tremila o quattromila persone usano il parco a vario titolo: dal gioco, allo sport, al pic-nic».

Sarebbe bello poter parlare del Parco dei Gardini di via dell’Arcoveggio, solo in termini positivi, senza nessuna spina. «Certo che abbiamo avuto qualche problema, ma la presenza costante dei soci ha fin da subito disturbato quelle attività che avrebbero potuto insidiarsi nel parco; la sede dell’associazione è all’interno del parco e questo rende la zona sottosposta a una sorveglianza attiva e diretta da parte dei soci volontari. Qualche volta può capitare che un bullo tiri una sassata a un lampione, ma il fatto di intervenire tempestivamente e direttamente per sostituire l’oggetto vandalizzato previene il degrado».

 

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Qualche tempo fa l’associazione si è confrontata con un problema, che però è riuscita a trasformare in risorsa. «L’amministrazione aveva deciso di spegnere le luci in alcuni parchi per risparmiare; ma il nostro parco ha la caratteristica di vedere gente, sportivi e semplici cittadini, usufruire delle strutture dell’area fino a tardi; così abbiamo fatto una proposta al Comune: noi realizziamo un impianto fotovoltaico per ripagarci dell’energia elettrica e il comune riaccende i lampioni. Detto e fatto l’impianto, realizzato con i contributi del cinque per mille; alla fine l’impianto rimane di proprietà del Comune di Bologna».

Quest’anno l’associazione compie vent’anni e guarda decisamente al futuro.

 

 

 

«Vogliamo coinvolgere maggiormente tutti i cittadini che nel corso degli anni sono arrivati in zona, spiegando che questo non è un parco pubblico normale, di proprietà del Comune; è il parco dei cittadini e questi devono farsene carico, direttamente. Incontreremo le istituzioni, per ragionare tutti insieme sulle possibilità che offre questa struttura, cercando di realizzare uno strumento, un cartello comune di intenti per poter così guardare oltre i vent’anni. Tra l’altro dobbiamo anche riuscire a far cambiare un’imposizione che, all’epoca della realizzazione del laghetto, ci è stata dettata dall’Ausl: alimentare il lago con l’acquedotto. All’epoca, la necessità era di evitare la contaminazione delle falde sottostanti con acque di dubbia provenienza, in una zona a forte vocazione produttiva. Oggi, a vent’anni di distanza e con il costo dell’acqua potabile, possiamo pensare di far cambiare idea all’Ausl, anche grazie alla buona volontà dimostrata in tutti questi anni da parte dei volontari».

Salutato il presidente, percorriamo i sentieri del parco perfettamente curati; sull’anello che circonda tutto il lago ci si imbatte in cigni neri, tartarughe, anatre e altri animali acquatici che hanno eletto lo specchio d’acqua a zona di sosta momentanea o permanente. Sul bacino artificiale, tra gli spruzzi delle fontane che ossigenano l’acqua, un gazebo in legno che affonda i piloni tra le acque del lago e le rive piantumate con cura. A sovrastare il polmone verde, due dune di terra di riporto ricavata dai lavori di unione delle due cave originarie e dal deposito di materiali di scarto; appena a lato delle dune, gli orti cittadini curati come se fossero una Savana rigogliosa di ortaggi. Tra il parco e la ciminiera della Fornace Galotti “Battiferro”, con all’interno conservato un monumentale forno Hoffman a 16 camere nella cui “pancia” è stato allestito il Museo del Patrimonio Industriale di Bologna, una piazza lastricata su cui si affacciano due giostre permanenti per bambini e dove vengono realizzate le feste e le iniziative distribuite su tutte le stagioni dell’anno, e che attirano migliaia e migliaia di persone.

Lo chiamano semplicemente Parco dei Giardini, ma se lo chiamassero l’Eden di Bologna non sarebbe una bestemmia: anzi.

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

1 Commento

  1. Luca

    Non mi stupisce che lwme cose buona di Bologna vengano sempre ‘dal basso’. Se dovessimo affidarci alla classe politica attuale e lasciar fare a loro avremmo parcheggi e cemento ovunque.

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