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Il mausoleo di Adriano ( Castel Sant’angelo): uno dei luoghi più visitati al mondo

Il mausoleo di Adriano ( Castel Sant’angelo): uno dei luoghi più visitati al mondo

 

 

di Giovana Pavesi

Camminare, camminare e ancora camminare. Nei borghi che odorano di gente sempre in movimento. Tra una macchina e l’altra, calpestando un suolo millenario e sfiorando, con lo sguardo, l’inarrestabile vitalità  del Tevere.

Quando si arriva sul ponte, al cospetto del mausoleo di Adriano, la sensazione che si prova è molto simile a quella dello stupore.

Quella di Castel Sant’Angelo, è un’imponenza piena di umiltà, grandiosa ma silente, osservatrice di tutta la città.

Custode della capitale, sorge imponente e testimonia la sua storia attraverso i pezzi di mondo che ha conosciuto.

A erigerlo fu l’imperatore Adriano che lo volle come suo mausoleo, ispirandosi a quello di Augusto. Come uno scrigno, il mausoleo custodì i resti dell’imperatore, della moglie Sabina, dell’imperatore Antonino Pio, di Faustina maggiore e dei tre figli.

Un’epidemia di pestilenza si abbatté su Roma nel 590. La solenne processione che Papa Gregorio I guidò per allontanare la peste, si ritrovò al cospetto del mausoleo di Adriano. Si dice che qui, Papa Gregorio I ebbe una visione:  quella dell’arcangelo Michele, che rinfoderava la sua spada. L’arcangelo Michele rappresentava, secondo l’interpretazione religiosa, la fine dell’epidemia. Da quel momento, la mole di Adriano, prese il nome di Castel Sant’Angelo, commistione grandiosa tra spiritualità, religione e storia.

La storia di Castel Sant’Angelo è ancora raccontata dalle mura. Le mura, gli angoli, le luci, le altezze.

Tutto racconta un pezzo di mondo, un frammento di storia. E’ come un grande libro: con le dita, toccando le pareti, è rivelata la storia, tutto ciò che si è susseguito nei secoli, la storia del papato.

Tuttavia, Castel Sant’Angelo non è soltanto questo.

Non è solo testimonianza concreta del potere temporale della chiesa in epoca moderna Castel Sant’Angelo è meta di turismo da tutto il mondo e allo stesso tempo, emblema del degrado ipocrita di una certa parte di questa Italia.

Camminando nel “passeggio” coperto di decine di papi, mi trovo a seguire un cartello che mi indica la via per le prigioni. Scendo le scale. Mi guardo intorno e mi ritrovo in una sorta di cortile: alla mia destra vecchi armamenti, alla mia sinistra le celle dei prigionieri più nobili, di fronte a me la famosa “Stufetta di Clemente VII”, una delle testimonianze più interessanti della nostra cultura. Si tratta del piccolo bagno privato incluso negli appartamenti papali, collegato per mezzo di una scala interna. Era costituito da tre vani. Uno spogliatoio, posto al piano superiore, un vano locale per il riscaldamento dell’acqua, che veniva poi convogliata in tubi che correvano al di sotto del pavimento, e una sala da bagno vera e propria, dotata di vasca collocata al di sotto di una nicchia ad arco e decorata con affreschi e stucchi a motivi acquatici, realizzati da Giovanni da Udine su disegno di Giulio Romano. Il bagno, designato in epoca rinascimentale anche con il termine di stufa o stufetta, era un tratto distintivo delle dimore dei principi rinascimentali, una sorta di status-symbol, evocativo delle terme dell’antica Roma e della cultura classica.

castel Sant'angelo 2

Purtroppo “la stufetta”, come molti altri ambienti, non sono aperti al pubblico; oppure, sono aperti in determinati periodi dell’anno.

A rivelarmi questo, un signore evidentemente appassionato, che è lì a custodire questo tesoro. Si avvicina e mi racconta, con discrezione, in che condizioni si trovano le realtà museali del nostro Paese.

Mi racconta che il mausoleo di Adriano è uno dei luoghi più visitati al mondo: centinaia di migliaia di persone hanno percorso quelle scale e quei corridoi. Migliaia di persone hanno osservato con stupore la meraviglia del panorama della capitale dall’ultimo piano visitabile.

A decine hanno imparato un pezzo di storia anche soltanto passandoci davanti. Ma tutto questo sembra non bastare. Livio, il custode mi racconta che, nonostante i biglietti di ingresso si paghino, sembrano mancare ancora molti fondi per poter tenere aperti tutti i vani per i visitatori. Mi racconta, a grandi linee, quanti sarebbero gli introiti giornalieri, mensili e infine annuali. Ad ascoltare le sue parole, quelle di un uomo che mette a disposizione il suo tempo libero gratuitamente per passione, viene da domandarsi dove siano tutti questi “fondi”. Come Livio tante altre persone, che tutte le mattine, si alzano, si preparano e si mettono lì a disposizione di tutti.

Mi ha detto “Signorina sa, io sono in pensione. Mi piace stare in mezzo alla gente, mi piace la storia, mi piace raccontare e non mi costa”.

Viene da chiedersi però quando imparerà il nostro Paese ad investire seriamente e concretamente nell’unico vero, inestimabile tesoro che possediamo. La cultura.

 

 

 

 

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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