
Il regno dei nani

di Giulia Rossi
C’era una volta un villaggio incantato, che sorgeva indisturbato lontano dal frastuono della città, immerso nel verde della foresta, accanto al fiume. Un luogo dove le case erano grandi funghi dalle tinte tenui e i loro piccoli abitanti non superavano il metro e venti.
Sembra la descrizione del villaggio dei Puffi, il cartone animato che ha fatto sorridere la mitica generazione degli anni ’80 e in effetti, al primo sguardo, il “Regno dei nani” ricorda proprio il paesaggio di una favola di fantasia. In realtà, però, di inventato c’è solo l’inconsueta idea avuta dall’imprenditore cinese Chen Mingjing che nel 2009 ha deciso di dar vita a uno spazio dedicato alle persone affette da nanismo. Un ambiente in cui questa categoria, solitamente più penalizzata nel trovare un impiego, potesse vivere grazie al proprio lavoro e a contatto con altre persone aventi la stessa disabilità.
Prima e unica nel suo genere, la città dei nani sorge all’interno del vasto “Parco ecologico delle farfalle” a Kunming nella provincia dello Yunnan, a sud della Cina. In questa area verde vivono oltre 45mila farfalle di 300 specie differenti, molte delle quali sono così pregiate da arrivare a costare, pensate, 40 mila euro. Infatti, per finanziare questo progetto, quotato in borsa, è stata stanziata una cifra da capogiro che ruota attorno a 88 milioni di euro. Soldi che comunque dovrebbero ritornare nelle casse dello Stato, grazie alla fruttuosa attrazione turistica costituita dall’attività dei nani all’interno del villaggio, i quali si dedicano a performance di danza e canto per soddisfare la curiosità dei tanti turisti che si apprestano a visitare il parco.
Il villaggio è autosufficiente. Si sostiene economicamente con il lavoro svolto dai suoi stessi abitanti che rivestono svariati compiti: c’è chi coltiva la terra, chi è dedito all’allevamento del bestiame, chi cucina e si dedica al ristoro e all’intrattenimento dei turisti che vengono a far visita a questa strana cittadina dove tutto è in miniatura. Minuscole le casette, dipinte con tinte pastello e mattoncini colorati, minuscole le scalette esterne a chiocciola, i terrazzini in legno e le finestrelle sferiche, minuscoli gli ospedali, le centrali di polizia e la caserma dei vigili del fuoco, minuscoli gli sgabelli, i tavolini e tutti gli utensili di uso comune, minuscoli gli abitini fiabeschi che indossano i nani. Sì, avete capito bene, questa Lilliput dei giorni nostri è abitata da fatine, maghi, ballerine, soldati, principi e principesse. E non può mancare ovviamente Biancaneve, la regina del villaggio.
Ma se per l’ideatore del Regno dei nani l’idea nasce in buona fede, proprio per aiutare una categoria spesso emarginata e per riuscire a far soldi onestamente in tempo di crisi, la stampa locale cinese, secondo quello che riporta il magazine CinaOggi.it, sbarra gli occhi e stronca il progetto accusando Chen Mingjing di sfruttare le persone affette da nanismo, facendole passare per fenomeni da baraccone. La risposta dell’imprenditore cinese non tarda ad arrivare e smentisce le accuse:
“Abbiamo semplicemente aperto un’attività che guadagna sulla curiosità della gente. Ho solo dato un ambiente felice e un lavoro equo a queste persone. Per chi è affetto da nanismo è sempre difficoltoso trovar lavoro, qui invece i nani hanno la possibilità di mettere alla prova il proprio talento. Quindi non si può parlare di razzismo. Tutti i turisti li vengono a guardare con occhio di rispetto. La nostra speranza è che attraverso questo progetto, loro possano diventare il gruppo di nani più prospero del mondo”.
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