
Tre buone notizie verdi

di Giorgio Triani
Notizie verdi che meritano di essere segnalate. Per tre ragioni fondamentali. Primo perché, come molto raramente accade, non danno conto di disgrazie, cataclismi, piccoli o grandi episodi di malcostume ambientale. Secondo perché la cronaca di questi tempi è sovrastata, oscurata dalla “scoperta” che siamo spiati in qualsiasi momento della nostra vita: è l’apocalisse della privacy, il cui dato saliente, per me almeno, è il basso livello di consapevolezza che tutti noi abbiamo nei confronti di una rivoluzione che sta ponendo fine a un’era e ne sta aprendo una nuova. Servono – lo dico sbrigativamente perché non è questa la sede- nuovi paradigmi e categorie interpretative, ma anche nuove visioni e un sentimento che può essere e deve essere molto meno catastrofista e molto più attento alla conoscenza reale dei fenomeni. Cosa questa che richiede forte spirito critico, ma anche autocritico.
Ma tornando alla terza ragione di “ottimismo verde” è che le tre notizie che voglio richiamare sono annunciatrici di messaggi positivi. L’unico elemento di negatività, per cominciare con la prima – la pubblicazione del Best global green brands 2013 – è che cresce la consapevolezza di sostenibilità a livello di grandi imprese multinazionali, ma che fra le prime 50 non ce n’è una italiana. Secondo il rapporto stilato da Interbrands con la collaborazione di Deloitte, misurando la percezione ambientale da parte di oltre 10mila consumatori su 100 marchi globali e confrontandola con le effettive prestazioni ambientali delle imprese, in testa alla classifica ci sono aziende automobilistiche e di tecnologia, nonostante le sfide ambientali che le imprese operanti in questi due settori devono ancora affontare.
Toyota è prima, seguita da Ford, Honda, con Panasonic, Nissan, Johnson & Johnson, Volkswagen, Danone, Nokia e Dell che completano la top 10. Performance negativa, invece, per aziende come Avon, H & M, Allianz, AXA, SAP e Santander. Chiudono la classifica, infine, McDonald, Zara, Citi e Colgate. Mentre, come già detto, di imprese italiane non c’è traccia.
Tutto italiano è invece il primato battuto domenica 16 giugno , quando per due ore l’Italia è stata alimentata solo da fonti rinnovabili. E’ la prima volta in assoluto che accade. In pratica, tra le ore 14.00 e le 15.00 circa, le rinnovabili hanno soddisfatto il 100% della domanda, facendo crollare il prezzo di tutta l’elettricità a zero e azzerando le emissioni serra del sistema elettrico italiano. E’ una performance ottenuta grazie a condizioni molto particolari ( un giorno di festa, le grandi quantità d’acqua accumulate nei bacini idrici grazie alle abbondantissime piogge dei mesi scorsi). Resta però il fatto che per la prima volta il prezzo d’acquisto dell’energia elettrica, il PUN, Prezzo Unico Nazionale, che deriva dal sistema di aste in cui si vende all’ingrosso, ora per ora, l’elettricità prodotta dai vari operatori, è sceso a zero su tutto il territorio nazionale. Dato questo che consente di citare un altro dato molto positivo e addirittura molto positivo se proiettato nel futuro prossimo. Secondo l’Irex Annual Report 2013 di Althesys,il fotovoltaico, grazie al peak shaving – cioè la riduzione del prezzo dell’energia durante le ore di punta – già nel 2012 ha fatto risparmiare 1,4 miliardi di euro.
La terza buona notizia è che da due anni in italia si producono meno rifiuti. Tra il 2010 e il 2011. la produzione nazionale dei rifiuti urbani è calata di un -3,4%. La diminuzione è proseguita anche nel 2012, riducendosi ulteriormente, nel biennio, di 2,5 milioni di tonnellate (- 7,7%). La produzione nazionale si attesta al di sotto di 30 milioni di tonnellate (valore analogo a quelli rilevati negli anni 2002/2003).
Questi dati sono contenuti nel Rapporto Rifiuti ISPRA 2013, presentato nei giorni scorsi. Secondo il report, questa flessione della produzione dei rifiuti si accompagna alla riduzione osservata per gli indicatori socioeconomici; infatti, il valore dei consumi delle famiglie sul territorio economico ha fatto registrare, tra il 2011 e il 2012, una riduzione pari al 4,1% circa, mentre il PIL è calato del 2,4%. Insomma se abbiamo prodotto meni rifiuti è stato principalmente a causa della crisi economica. Anche se non manca chi ha richiamato il ruolo avuto da una più oculata gestione dei rifiuti.
Tuttavia per una volta proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto. E a considerare nel modo giusto un avvertimento che tutti citano e auspicano, senza mai però trarne motivo di soddisfazione quando si invera. Quando si fa realtà. Ossia che le crisi non pone solo problemi ma offre anche opportunità.
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