
Il tuffo di Elham nel mar Caspio
di Giovanna Pavesi
Il video che racconta chi è Elham Asghari inizia con un tuffo in piscina. E’ un tuffo ordinario, come se ne vedono tanti. Con una sola differenza.
“Nessun nuotatore accetterebbe di nuotare con un costume così. Nuotare con questo costume fa sempre male al mio corpo. Ho nuotato 20 km. Hanno abbassato la distanza registrando 15 km. Ho protestato e mi hanno proposto di registrare 18 km. Ora non vogliono registrare neanche questa distanza. Quel giorno il mio costume copriva tutto il corpo, sette persone lo hanno testimoniato. Ho nuotato lungo la spiaggia riservata alle donne, nessun uomo si trovava lì. Ora obiettano che il mio costume sia illegale per la religione. Il mio record di 20 km è tenuto in ostaggio da persone che non sanno nuotare neppure 20 metri. (…)”
Queste sono le parole di Elham, una ragazza di 32 anni che viene dall’Iran. E’ bella e determinata. Ha danzato nella acque del mar Caspio per otto ore, nuotando per 20 km, dimostrando al mondo le sue capacità sportive, senza troppa retorica e senza troppo clamore. Il suo risultato è importante.
Il suo record mondiale non è stato registrato a causa della presunta illegalità del suo costume; secondo il Ministero dello sport iraniano, il costume di Elham non era adeguato.
“Le sue caratteristiche femminili erano visibili quando è emersa fuori dall’acqua”.
Questa è la “punizione” che costa ad Elham un silenzio assordante. Un silenzio che non si merita. Un silenzio ingiusto che le distrugge una realtà, quella di aver nuotato 20 km nel mar Caspio dopo i sacrifici ai quali si sottopongono gli sportivi di tutto il mondo.
La storia di Elham si è insinuata nelle case delle persone del mondo intero, grazie ad una petizione su Change.org. A far conoscere la storia di Elham è stata Sabri Najafi, che al web si è rivolta così:
“Sono nata a Shiraz, una città bellissima nel sud dell’Iran. All’età di 20 anni mi sono trasferita a Teheran dove ho studiato Scienze Politiche.
L’8 Marzo del 1979 Khomeini dichiarò che le donne dovevano rispettare la Hijjab, una legge che le obbligava a portare il velo e limitò le leggi che garantivano i diritti delle donne. Molte di noi scesero in strada ma non venimmo ascoltate. Quindi nel 1980 ho deciso di partire per l’Italia. Nella mia vita mi sono sempre battuta per i pari diritti tra uomini e donne. Dal 2007 ho sostenuto la campagna “Un Milione di Firme per Cambiare le Leggi Discriminatorie in Iran”. Da allora ho cominciato ad andare in diverse città italiane per parlare della campagna e raccogliere le firme. Faccio tuttora parte del Movimento delle donne iraniane per i diritti di genere e del Movimento per i diritti umani.
Sono convinta che senza l’uguaglianza tra i sessi i diritti umani non saranno mai realizzati. Non potrò mai lasciare sole le mie sorelle iraniane.”
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