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Annegati in un mare di parole. La strage dei migranti, fra opinioni, politica e diritto.

Migranti

 Di Laura Benatti

 

In questi giorni l’orrore della strage dei migranti a Lampedusa ha scatenato, come è ovvio che sia, la commozione e lo sconcerto dei politici, ma in alcuni casi anche l’ipocrisia e persino la disumanità, purtroppo. Molti personaggi pubblici hanno espresso la propria opinione, alcuni strumentalizzando la tragedia, altri cercando di andare oltre l’emotività legata al momento, per cercare di trovare possibili soluzioni al problema.

Tra le tante opinioni emerse a livello politico, si può tentare una sintesi mettendo a confronto due posizioni, in particolare. La prima è quella della Ministra dell’Integrazione Kyenge, che ha richiamato la necessità di un maggiore coinvolgimento dell’Unione Europea nell’emergenza umanitaria, ed ha affermato la volontà di revisionare profondamente la legge “Bossi-Fini” sull’immigrazione e il diritto d’asilo.

Di parere opposto Gianluca Pini, deputato della Lega Nord, ed alcuni quotidiani, fra cui Il Giornale, che nelle primissime ore dopo il disastro ne hanno attribuito la responsabilità morale al “buonismo” ed alle “belle parole” di Kyenge e Boldrini nei confronti del tema dell’immigrazione. La Lega, inoltre, continua a sostenere che la “Bossi-Fini” sia una buona legge, unico argine all’immigrazione incontrollata, e che non vada modificata.

Tra i motivi che in questi giorni vengono usati per affermare l’inadeguatezza e la pericolosità della legge “Bossi-Fini”, vi è la circostanza, riportata da alcuni dei sopravvissuti, secondo cui ben tre pescherecci sarebbero passati vicino al luogo del naufragio durante le prime tre ore dall’incidente, senza prestare soccorso. La stessa Sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha sostenuto che la legge, prevedendo il reato di clandestinità, porterebbe i pescatori, o chiunque si trovi per mare, ad esitare nell’aiutare i migranti in difficoltà per paura di incorrere nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

 

Ma dal punto di vista giuridico, è davvero così? È vero che chi dovesse aiutare dei naufraghi stranieri in acque italiane, potrebbe essere indagato?

Innanzitutto, occorre sottolineare che nella Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, prodotta dalla Conferenza delle Nazioni Unite nel 1982, ed entrata in vigore nel 1994, all’articolo 98 si legge: “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera […] presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”. Chiunque, senza se e senza ma.

Tuttavia, passando dal diritto internazionale a quello italiano, la situazione è assai più controversa; la legge 189\2002 (la cosiddetta “Bossi-Fini”, che introdusse delle modifiche al già esistente Testo Unico sull’immigrazione del 1998), contiene questa disposizione: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque in violazione delle disposizioni del presente testo unico compie atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 15.000 euro per ogni persona”. Quindi, stando a questa legge, chi dovesse trovarsi a salvare dei clandestini in difficoltà senza averne l’autorizzazione potrebbe davvero rischiare dei guai giudiziari.

Un altro punto dibattuto riguarda la legge 94\2009, che modifica ulteriormente il Testo unico sull’immigrazione del 1998, introducendo nel nostro ordinamento il reato di immigrazione illegale, perseguibile penalmente, con l’articolo 1, comma 16: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro”. A causa di questa legge, i 155 sopravvissuti al naufragio di giovedì scorso verranno iscritti al registro degli indagati dalla Procura di Agrigento per il reato di ingresso irregolare nel territorio italiano.

 

Martedì 8 ottobre, alla vigilia della visita a Lampedusa del Presidente della Commissione europea Barroso e del Presidente del Consiglio Letta, Amnesty International ha diffuso con un comunicato un proprio piano per affrontare il problema delle stragi dei migranti. L’organizzazione internazionale per i diritti umani ha formulato tre richieste puntuali per l’Unione Europea e per gli Stati membri: in primo luogo, gli Stati devono approvare al più presto le nuove regole per le operazioni di soccorso e ricerca in mare, coordinate da Frontex, l’Agenzia europea delle frontiere, in modo da garantire il rispetto dei diritti umani e del diritto marittimo internazionale. In secondo luogo, per Amnesty occorre rivedere i trattati di cooperazione con paesi terzi in materia di controllo dell’immigrazione, accertandosi che questi paesi rispettino i diritti umani, spesso violati; è il caso dell’accordo con la Libia, stipulato dall’Italia nonostante le prove di violenze compiute nel paese nordafricano ai danni di rifugiati e richiedenti asilo. Infine, bisogna incentivare la solidarietà internazionale, anche attraverso la creazione di vie sicure di accesso all’Europa per i rifugiati. Quest’ultimo punto è sicuramente il più difficile da realizzare, poiché prevede una cooperazione multilaterale fra Unione Europea, Stati membri e Stati di provenienza dei migranti.

Inoltre, Amnesty International si rivolge nello specifico all’Italia con tre ulteriori sollecitazioni: nel primo momento dell’emergenza, le autorità italiane devono garantire il trasferimento rapido sulla terraferma delle persone arrivate a Lampedusa, per evitare il sovraffollamento del centro di accoglienza dell’isola; in seconda istanza, bisogna rendere più veloci ed efficaci le procedure per la richiesta del diritto d’asilo ed abolire il reato di ingresso e permanenza irregolare nel territorio italiano. Infine, occorre incrementare l’efficacia delle operazioni di ricerca e soccorso in mare.

Un programma decisamente ambizioso, che richiederebbe sforzi molto maggiori di quelli che ha sostenuto finora l’Unione Europea sul tema dell’immigrazione. Per realizzare tutto questo occorrerebbero in primo luogo piani di intervento ben precisi da parte dell’Agenzia Frontex, che da piattaforma di coordinamento e collaborazione fra le autorità di frontiera dovrebbe diventare un vero e proprio centro di azione. Ma per mettere in campo questi progetti occorrono molte più risorse di quelle finora stanziate per l’Agenzia. Inoltre servirebbero piani molto più concreti a livello normativo comunitario; ad oggi, il Programma di Stoccolma del 2010 che prevedeva, fra l’altro, l’istituzione di un sistema europeo comune di asilo (CEAS) entro il 2012, è rimasto su carta. Il CEAS infatti è sì stato approvato dal Parlamento europeo (lo scorso giugno), ma dovrà essere ratificato da tutti i 28 paesi membri dell’UE, e comunque lascerà spazio a molte disomogeneità fra le legislazioni nazionali.

 

Una posizione ancora più forte ed ambiziosa è quella espressa da Gad Lerner sabato 5 ottobre su Repubblica. Il giornalista ha sostenuto che si dovrebbero istituire dei traghetti ufficiali che dai Paesi della sponda sud del Mediterraneo trasportino in condizioni di sicurezza i disperati in cerca di una vita migliore, dividendoli in tutti i porti europei, dove poi verrebbero smistati e accolti in base alle proprie necessità ed al proprio status giuridico. Secondo Lerner, in questo modo si potrebbe distribuire in modo equo il problema dell’accoglienza, togliendo da Lampedusa e dalle coste siciliane l’onere di dover ricevere ogni giorno centinaia di persone, che scelgono questo approdo solo per la  prossimità con i porti di partenza. Inoltre, con un servizio di traghetti regolari si toglierebbe l’immenso business dei viaggi della speranza dalle mani della criminalità e degli scafisti. Si tratta di una tesi piuttosto provocatoria, per le ovvie difficoltà di realizzazione di un sistema simile, che richiederebbe accordi complessi fra i Paesi europei, fra questi e gli Stati in cui si trovano i porti da cui salpano le navi dei migranti, ed anche accordi con gli Stati da cui questi ultimi fuggono. Ed inoltre ogni Paese ha le proprie leggi in materia di immigrazione e diritto d’asilo, quindi trovare il modo di accordare tutte le normative sarebbe un’impresa davvero titanica.

Probabilmente una soluzione univoca alla questione non esiste, ma forse iniziare ad ascoltare le voci di chi arriva, cominciare a considerarli non come numeri ma come persone, potrebbe essere il primo passo per trovare finalmente una strada da percorrere in modo concreto insieme agli altri paesi europei, superando la retorica e le parole, belle o brutte che siano.

 

Fonti:

www.frontex.europa.eu

www.amnesty.it

http://europa.eu/legislation_summaries/index_it.htm

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