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Le centrali a biomasse. Un danno o un vantaggio?

Le centrali a biomasse. Un danno o un vantaggio?

 

Biomasse

di Eleonora Magnanelli

   Le energie rinnovabili sono belle e pure utili. Aiutano la nostra terra e fanno risparmiare – nella maggior parte dei casi – soldi ai nostri Stati. Ma il dibattito su molti di questi nuovi tipi di fonti energetiche è complicato e spesso discordante.

Questo discorso è applicabile anche alle famose e molto discusse: centrali a biomasse.

Partiamo dal capire che cosa sono.

Esse rientrano nella categoria delle energie rinnovabili poiché ricavano energia elettrica da metodi alternativi e da sostanze totalmente naturali, bruciando scarti agricoli, urbani e industriali. La biomassa infatti, secondo una direttiva europea del 2009, è definita come la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.

Il concetto di biomassa però ha un lungo passato. Se ne parla infatti già dai primi decenni del XX secolo. La prima definizione è del 1931: ”Con biomasse si indica la quantità di sostanza costituita da organismi viventi per unità di superficie o di volume”. Se vogliamo categorizzarle possiamo averne di tre tipi: solide, liquide e gassate.

Fanno parte di quelle solide il legno e i residui agricoli. A seconda del tipo di biomassa corrisponde ovviamente un diverso tipo di combustibili. Da legno si produce: legna a pezzi, cippato e pellet. Dalla lolla di riso i gusci, la paglia si produce con residui colturali. Ci sono anche tipi diversi di combustione. Se si usa la combustione diretta l’energia prodotta sarà destinata al riscaldamento, all’elettricità e al vapore.

Quelle liquide invece sono gli stessi liquidi ricavati dalle biomasse. A seconda del tipo di materia ci saranno ovviamente diversi tipologie di combustibili. Dalla canna da zucchero, alla manioca, la barbabietola e le patate. L’energia prodotta con queste biomasse sarà utilizzata per il trasporto ma anche per il riscaldamento e l’elettricità.

Per quanto riguarda le biomasse gassose si parla di biogas. Ovvero una miscela che può contenere carbonio, azoto, idrogeno e correlati. Questo si produce con processi di fermentazione in presenza o assenza di ossigeno, attraverso i quali la sostanza organica è decomposta grazie all’azione di specifici batteri. In questo caso la principale fonte di produzione è la discarica, grazie alla degradazione della frazione organica dei rifiuti. Il biogas viene usato per il trasporto, il riscaldamento, l’elettricità e la cottura.

Questi processi di riscaldamento e produzione energetica innovativi – poiché ricavano energia da prodotti vegetali o da rifiuti organici e inorganici – sono molto amati e usati. Essi infatti permettono di usare meno il petrolio e ridurre le emissioni di Co2 nell’atmosfera. Ma ovviamente ogni medaglia possiede due facce.

Quali sono dunque le problematiche legate a questo tipo di impianti?

Sul sito dell’ENI si legge, per quanto riguarda i vantaggi connessi, che « Il processo di combustione delle biomasse libera tanta CO2 quanta le piante ne assorbono nell’intero corso della loro vita. Inoltre, l’utilizzo di biomasse quali residui forestali, agricoli e delle lavorazioni del legno contribuisce a tenere puliti boschi e terreni e crea nuovi posti di lavoro. Ha quindi un positivo riflesso sull’occupazione che, soprattutto nelle zone rurali, si somma a una minore “dipendenza energetica” dai paesi produttori di combustibili fossili. Altri vantaggi consistono nella sua abbondanza, nella facilità di estrazione energetica, nel basso tenore di zolfo con la conseguenza di non contribuire alle piogge acide, nel fatto che il suo fine ciclo costituisce potenziale fertilizzante ». Per quanto riguarda gli svantaggi invece, sempre sul sito di Eni si legge: «lo sfruttamento delle biomasse ha anche lui un impatto ambientale. In alcuni casi l’uso della legna come combustibile, se non avviene seguendo un principio di sostenibilità (ovvero preoccupandosi di ricostituire il patrimonio di alberi tagliati), può portare alla progressiva deforestazione. Inoltre, la coltivazione intensiva di alcune piante finalizzata alla successiva produzione di energia (le cosiddette colture energetiche), oltre a richiedere ampie porzioni di territorio per ottenere quantità di combustibili significative (terreni che vengono sottratti all’attività agricola per produzione alimentare), può comportare l’utilizzo di fertilizzanti ed altre sostanze inquinanti del suolo e delle acque».

Tra i limiti di queste energie è da sottolineare inoltre che uno dei maggiori inconvenienti della combustione delle biomasse solide è l’alto tenore di emissioni di CO e polveri. In più il rendimento in confronto al combustibile fossile è molto ridotto e molte volte la movimentazione e il trasporto delle biomasse è difficile soprattutto in zone ambientali delicate e di alto valore ambientale e paesaggistico.

La situazione oggi.

In Italia le centrali sono diffuse soprattutto al Nord e nelle arie interne della penisola. Al Sud
le centrali sono dislocate perlopiù lungo le coste e vengono alimentate dalle biomasse importate dall’estero. Gli impianti a biogas invece sono concentrati nella Pianura Padana ed in Trentino-Alto Adige.
I giudizi sono sempre divisi. Le soluzioni e le situazioni si diversificano da impianto ad impianto. L’Italia e gli italiani non sono mai molto propensi alle nuove tecnologie soprattutto in termini ambientali. E lo sfruttamento di queste nuove forme energetiche da parte di mafie e persone poco oneste, disegnano un quadro del futuro non roseo e complicato. Solo il tempo ci darà la risposta al quesito: centrali a biomasse, un danno o un vantaggio?

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