
Mattanza dei delfini. Anche l’Italia punta il dito contro il Giappone

di Valentina Paulmichl
Non si spegne e, anzi, si riaccende la protesta internazionale contro l’annuale mattanza di delfini nella baia di Taiji nel Giappone occidentale. Una pratica finita sotto i riflettori nel 2009 in seguito all’assegnazione del premio Oscar al documentario “The Cove”, un video-denuncia testimonianza del rituale massacro dei mammiferi marini nella terra del Sol Levante. A scatenare la polemica, la Sea Shepherd Conservation Society, un’organizzazione no-profit per la salvaguardia degli oceani, che già nel 2003 aveva diffuso a livello mondiale un video girato in segretezza che aveva scosso l’opinione pubblica. Secondo gli ambientalisti, ogni anno, a partire dal mese di settembre fino a marzo, i pescatori giapponesi catturano e uccidono fino a 20 mila delfini.
E l’Italia si schiera. L’Ente nazionale protezione animali (Enpa) si è appellato al ministro degli Esteri, Emma Bonino, affinché si «prenda posizione contro la barbarie di Taiji». La risposta è arrivata tempestivamente, accompagnata da rassicurazioni e da un totale appoggio per la battaglia. La Bonino ha confermato, come già pubblicamente comunicato dalla Farnesina, l’intervento dell’ambasciatore italiano a Tokyo che ha sollecitato il ministro giapponese a un’urgente riconsiderazione della pratica della mattanza. L’ambasciatore Domenico Giorgi, in accordo con la Delegazione UE e le Ambasciate degli altri partner europei, continuerà a seguire la vicenda al fine di valutare possibili azioni di sensibilizzazione nei confronti delle autorità giapponesi.
Il Giappone si difende parlando di cultura alimentare e della necessità e dell’importanza di rispettare le usanze e le tradizioni di culture diverse. «Viviamo sulla vita di mucche e maiali – ha dichiarato Yoshinobu Nisaka, governatore della prefettura di Wakayama che comprende la baia di Taijai – non è il caso di dire che solo la caccia ai delfini sia disumana», sottolineando come i mammiferi non siano soggetti a tutela ai sensi delle norme internazionali.
Chiara la posizione della stampa locale che crede di alleggerire la situazione rendendo note nuove e più affinate tecniche di macellazione che prevedono il taglio del nervo spinale, nell’illusione di risparmiare agli animali una sofferenza inutile. In realtà, pare che questa pratica di fatto paralizzi i delfini impedendogli solo di agitarsi e di urlare. Si dice infatti che il pianto del delfino sia molto simile a quello di un neonato e che sia soprattutto quel suono lamentoso a straziare chi lo ascolta. Una magra consolazione, quindi, per tutti gli sforzi messi in atto dall’opinione pubblica internazionale per cercare di porre fin a questo massacro. Anche il Sankei Shinbun, il più conservatore dei quotidiani nazionali, sembra non voler mollare la presa, giustificando la pratica come una legittima tradizione dei pescatori locali.
Un’usanza difficile da comprendere e fortemente denunciata dalla Sea Shepherd che ha fatto emergere che in soli due giorni nella baia di Taijai erano stati intrappolati oltre 250 delfini destinati alla macellazione o ad essere ridotti ad attrazione per animare i parchi acquatici. Ed è proprio Kazutaka Sangen, sindaco della «baia del massacro», così come soprannominata dagli attivisti, ad annunciare di voler realizzare, nel giro di qualche anno, un parco marino in cui sarà possibile nuotare con i delfini, ma senza rinunciare alla mattanza invernale. E nulla possono le pressioni della comunità internazionale che, come unica e inconsistente concessione, ha ottenuto un mutamento delle pratiche di uccisione: gli animali non vengono più sgozzati in acqua, ma paralizzati e poi finiti lontani da occhi indiscreti o troppo sensibili.
La scintilla accesa da Sea Sheperd trova eco anche sui social network e, fra i tanti, è Caroline Kennedy, ambasciatore Usa in Giappone, a scatenare la difensiva nipponica per colpa di un tweet in cui si dichiara «profondamente colpita da questa disumana attività». La risposta non ha tardato ad arrivare e i giapponesi colpiscono duro: «Lasci stare i delfini, pensi alle bombe atomiche, al napalm, ai droni che uccidono civili innocenti», così come si su Facebook. Un’accusa forte e più autorevole anche quella del quotidiano Sankei Shinbun che parla di «ingiustificata interferenza» e «superficialità di giudizio».
Più disponibile al dialogo, ma fermo sulle proprie idee, il portavoce del governo Yoshihide Suga: «La caccia ai delfini è portata avanti con metodi tradizionali di pesca e condotta nel rispetto delle leggi. Spiegheremo la nostra posizione anche agli Stati Uniti».
A intervenire è anche il sindaco di Taiji, Kazutaka Sangen, in un’intervista a ilfattoquotidiano.it (qui): «Noi giapponesi siamo testardi e cocciuti. E orgogliosi delle nostre tradizioni. Neanche se vengono con i marines cambieremo idea» e punta il dito contro gli italiani: «proprio voi vi permettete di criticarci? Passi per gli americani, che non riescono a distinguere una balena da un polipo, ma voi italiani di mare e di pesca vi intendete. Sapete cosa significa mantenere un ecosistema, come difenderlo dalla voracità di alcune specie. Noi i delfini non li ammazziamo per mangiarceli, ma perché sono troppo voraci, divorano il plancton che serve agli altri pesci. Quanto alla mattanza, non vedo perché quella dei tonni sia civile, e quella nostra no. Il sangue è sangue. E tutti gli animali soffrono, quando vengono ammazzati. Dai visoni ai polli, dai vitelli ai tonni. E purtroppo anche i delfini. Non siamo barbari, siamo solo diversi».
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