
Residui plastici, una minaccia per i mari italiani

di Antonio Ravenna
Recenti studi condotti dalla Goletta Verde e dall’Accademia del Leviatano hanno rivelato la presenza di percentuali molto elevate di detriti plastici nel raggio di 3000 km di mare in 136 ore di osservazione. I risultati delle attività di monitoraggio hanno dimostrato peraltro che il 95% dei macro-rifiuti galleggianti nel Mar Tirreno sia di natura plastica e che il 41% di questi sia costituito per lo più da buste e frammenti plastici. L’area a più alta densità superficiale di questo tipo di detriti è risultata essere quella del Tirreno centro-meridionale che ingloba Lazio, Campania, Basilicata e Calabria Tirrenica.
I ricercatori sono concordi nel riferire che l’uso della plastica e dei suoi derivati sia cresciuto notevolmente negli ultimi 40 anni, una tendenza che si riflette inevitabilmente sulla composizione del rifiuto marino. Questi i dati dell’Unep, il programma dell’ambiente delle Nazioni Unite: dal 60 all’80% di microplastica sul totale dei rifiuti rinvenuti in mare, con punte del 90-95% in alcune regioni. Dati che evidenziano come la frazione merceologica preponderante dei cosiddetti marine litter (rifiuti ritrovati nel mare) sia costituita essenzialmente da materiali di natura plastica. Stando alle parole di Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente, la colpa dell’inquinamento non è della plastica ma del cattivo uso che ne viene fatto e dell’ancora inefficiente smaltimento, recupero e riuso di un Paese che preferisce buttare nei fiumi e in mare preziose materie prime invece che riutilizzarle, risparmiando ambiente e denaro.
La percentuale più consistente dei macro-rifiuti galleggianti è quella che riguarda le buste. L’Italia fino al 2010 ha battuto il record in Europa per consumo di sacchetti di plastica usa e getta, con una percentuale di consumo pari al 25% del totale europeo messo in commercio. Solo con l’entrata in vigore del bando sugli shopper non compostabili si è riusciti a ridurre questa percentuale. Inoltre, la sua posizione di centralità nel Mar Mediterraneo fa sì che il ruolo italiano nella tutela dell’ecosistema marino sia di cruciale importanza. Legambiente ha fatto più volte appello alla Commissione europea affinché estendesse a tutti gli Stati Membri il modello italiano del bando degli shopper non compostabili. Occorrono misure di questo tipo per compiere un passo in avanti nella salvaguardia dei mari, per rafforzare il fronte comunitario sulla corretta gestione dei rifiuti, per tutelare la biodiversità e la fauna marina e per raggiungere uno degli obiettivi della direttiva quadro europea per la Marine Strategy. Un team di ricercatori tedeschi della Technische Universität München e dell’università di Bayreuth ha pubblicato su Current Biology lo studio “Contamination of beach sediments of a subalpine lake with microplastic particles”, nel quale sottolineano le gravi conseguenze dei rifiuti plastici sugli ecosistemi marini.
Ciò che preoccupa maggiormente è la gran parte dei detriti plastici non galleggianti, destinati per legge fisica ad accumularsi sul fondo e nei sedimenti della spiaggia, rappresentando gravi rischi per le rispettive comunità. Le particelle di microplastica inferiori ai 5 mm vengono introdotte direttamente tramite lo scarico delle acque reflue o si formano per biofouling (accumulo e deposito di organismi viventi, vegetali e animali, unicellulari e pluricellulari, o anche di organismi non viventi, organici e inorganici) ed abrasione meccanica, rendendoli più inclini al consumo a parte degli organismi acquatici. E’ stata dimostrata una varietà di effetti nocivi delle sostanze chimiche nella plastica. Inoltre, i detriti di plastica possono fungere da vettore per le specie aliene e le malattie. Una gran parte dei rifiuti di plastica è prodotta onshore (sulla terraferma) e raggiunge l’ambiente marino, che è considerato il principale dissipatore di detriti di plastica.
La cosa più sorprendente è che i ricercatori hanno rinvenuto concentrazioni significative di microplastica nel Lago di Garda, a dimostrazione del fatto che la contaminazione plastica può raggiungere anche habitat non pelagici e che è diretta conseguenza del cattivo uso che si fa dei materiali plastici. Sulla riva nord del Lago di Garda i ricercatori hanno trovato circa 1.000 particelle più grandi per m2 e 450 particelle di micro-plastica nella stessa area. Le sostanze chimiche presenti nella plastica sono velenose e possono danneggiare i sistemi endocrini e anche trasportare inquinanti organici pericolosi in ambienti puliti, come i laghi. Precedenti ricerche sui pesci e altre creature marine hanno dimostrato che queste specie tendono ad accumulare frammenti di plastica molto piccoli nei loro tessuti, scambiandoli per cibo.
Ci potrebbero essere conseguenze quando queste colpiscono il sistema ormonale: potrebbero diventare sterili per esempio. Potrebbe anche essere, che quando i pesci si nutrono di questi organismi accumulano queste particelle anche nel loro tessuto. La preoccupazione non è soltanto per le gravi ripercussioni sull’ambiente, ma investono anche la sfera igienico-sanitaria delle comunità lacustri: gli scienziati tedeschi premono infatti nel sottolineare che gran parte dell’acqua dei laghi viene utilizzata per bere e per l’agricoltura. Insomma, il problema sembra più grave di quel che si possa credere. E il curioso paradosso è che gran parte della microplastica rinvenuta nei mari di diverse aree geografiche del nostro paese, se da un lato rappresenta una potente risorsa nociva per l’ambiente e la comunità, dall’altro è una preziosa materia prima che potrebbe essere reimpiegata risparmiando ambiente e denaro.
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