
Sostanze tossiche nell’alta moda: un lusso che non possiamo permetterci

di Valentina Paulmichl
Domani il via alla Settimana della Moda di Milano. Un’attesa, quella di quest’anno, contrastata da forti polemiche in seguito a un rapporto lanciato da Greenpeace International che rivela la presenza di sostanze chimiche tossiche nei vestiti per bambini di alcuni dei più famosi marchi di alta moda. Rivelazioni accolte con preoccupazione e sdegno da chi ha sempre scelto di mettere mano al portafogli pensando che i soldi potessero comprare il meglio e che ora si ritrova invece a fare i conti con la realtà di un colpo basso sferrato di nascosto alla salute dei bambini.
Si chiama Detox, la campagna avviata nel luglio 2011 da Greenpeace Asia per risvegliare l’opinione pubblica e pretendere l’eliminazione delle sostanze tossiche utilizzate in fase di produzione dei capi d’abbigliamento. Sostanze dannose tanto per la salute di chi le indossa, quanto per chi ne viene a contatto attraverso l’acqua in cui vengono rilasciate al momento del lavaggio.
Nell’occhio del ciclone, 12 note aziende tra cui marchi quali Disney, Burberry e Adidas. Un allarme partito soprattutto dalla Cina che resta il maggior produttore tessile al mondo. Greenpeace ha chiesto al governo di bandire le sostanze pericolose dall’industria ristabilendosi in modo trasparente e conforme alle regole come leader sul mercato globale.
Pochi giorni fa, la pubblicazione di un nuovo rapporto (leggilo qui) ha riacceso la scintilla rivelando l’implicazione di otto case di alta moda riconosciute a livello mondiale. Si tratta di Dior, Dolce&Gabbana, Giorgio Armani, Hermes, Louis Vuitton, Marc Jacobs, Trussardi e Versace. Da un’analisi di 27 prodotti acquistati in negozi monomarca o da rivenditori autorizzati, e testati tra maggio e giugno del 2013, 16 sono risultati positivi a sostanze chimiche tra cui ftalati, composti perfluorati e polifluorati e antimonio. La più altra concentrazione sembra essere stata riscontrata in un paio di ballerine Louis Vuitton e in una giacca firmata Versace.
Oltre al danno, anche la beffa, se si considera che il successo dei brand d’alta moda è costruito intorno all’esclusività e all’eccellenza dei prodotti. Un inganno che costerà caro in termini economici ma anche e soprattutto in affidabilità. A rincarare la dose, il fatto che 5 di questi prodotti – due di Dior, due di Trussardi e uno di Hermes – non riportino sull’etichetta il paese di fabbricazione, segno, sull’onda delle recenti scoperte, che non fa che confermare una mancanza di trasparenza da parte dei marchi. Un dato non trascurabile per l’Italia, patria dell’alta moda, per cui il Made in Italy è e deve continuare ad essere una garanzia di qualità.
«Sta ora a questi marchi fare chiarezza sull’etichetta che esibiscono, ripulire le loro filiere e capire che noi consumatori non ci lasciamo prendere in giro facilmente», afferma Chiara Campione, responsabile del progetto The fashion Duel di Greenpeace Italia. La coerenza, prima di tutto. Per risollevare il proprio nome e la propria reputazione, ci si aspetta dalle case di moda che facciano mea culpa e che si schierino a favore di un futuro eco-sostenibile.
Lo scorso gennaio, la catena di negozi di abbigliamento britannica Primark e il brand di lusso Burberry si sono impegnati con Greenpeace a eliminare le sostanze chimiche pericolose dai propri prodotti. Un’adesione arrivata dopo due settimane di pressioni da parte dei consumatori di tutto il mondo e che oggi fa ben sperare sul futuro del settore della moda.
«Burberry ha fatto la mossa giusta e ha mantenuto la sua reputazione, seguendo l’esempio dato da Valentino un anno fa a tutte le case di Alta moda con l’impegno a eliminare le sostanze chimiche pericolose. È la prova che i grandi marchi ascoltano la voce dei consumatori quando questi si fanno sentire. Ora ci attendiamo passi concreti dell’azienda per garantire vestiti più sicuri per l’ambiente e la salute», commenta Chiara Campione.
Ad oggi, sono venti le aziende che hanno sottoscritto l’impegno Detox: Benetton, C&A, Canepa, Coop Svizzera, Esprit, G-Star Raw, H&M, Inditex, Levi’s, Limited Brands, Mango, Marks & Spencer, Puma, Fast Retailing, Zara, Li-Ning, Nike, Valentino, Primark e Burberry. Ancora troppo poche se si pensa che domani, alla Settimana della Moda, sfileranno capi di alta sartoria e ci si chiederà se saranno davvero toxic free.
Fonte e foto: www.greenpeace.org
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