
Acqua, un bene di tutti. L’ONU lancia un piano decennale.

di Danio Rossi
Il diritto all’acqua risulta quale estensione del diritto alla vita affermato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Esso riflette l’imprescindibilità di questa risorsa relativamente alla vita umana e per questa ragione, l’ONU ha deciso di lanciare in un piano decennale il progetto “Water for Life” che dovrebbe garantire una miglior distribuzione dell’acqua rendendola accessibile a tutti.
Per il nostro mondo occidentale sembra normale quotidianità avere a disposizione acqua in quantità praticamente illimitata, sia per le necessità personali che per quelle lavorative, siano esse agricole o industriali, per irrigare i nostri giardini quanto le aiuole delle città, per lavare le nostre auto o per riempire le piscine. Ma non è così per tutti e non in tutto il pianeta. Esistono realtà che devono fare i conti con le singole gocce di acqua, quando c’è, oppure andarla a prendere a chilometri di distanza, magari a piedi, per avere poi un’acqua che definire potabile sarebbe scorretto.
Se si considera che il 18% della popolazione mondiale (parliamo quindi di 1,3 miliardi di persone) non ha accesso all’acqua potabile e ogni giorno circa seimila persone (oltre 2 milioni all’anno) muoiono per cause legate alla sua assenza e alla carenza di igiene, si comprende perché l’obiettivo primario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sia istituire una serie di azioni mirate a preservare l’acqua dolce e a renderla disponibile anche nelle terre che non hanno questa opportunità.
Da qui la scelta dell’ONU di denominare il periodo compreso tra il 2005 e il 2014 decennio internazionale per l’azione “Water for Life”. Risparmiare acqua non solo è possibile, ma deve diventare un “dovere” per tutti, e la prima regola è di non darlo per scontato. Il riferimento è soprattutto all’acqua potabile, che costituisce appena il 2,5% dell’intera quota di acqua dolce. È pertanto necessario preservarla dall’inquinamento e dall’eccessivo sfruttamento. Secondo i più recenti dati forniti dall’Istat, soltanto il 3,5% dell’acqua potabile a disposizione in Italia, per giunta, di ottima qualità, è utilizzata per bere e cucinare: ovvero le ragioni per cui è richiesta. L’altra quota, predominante, viene dissipata soprattutto per l’igiene personale. In casa si può razionalizzare il consumo ricorrendo a elettrodomestici di nuova generazione che consentono risparmi importanti sui consumi di acqua (come pure di energia elettrica).
Il sistema nazionale di distribuzione dell’acqua (le condutture principali di trasporto) che permette al bene primario di raggiungere tutte le abitazioni è la prima causa di spreco della risorsa idrica. È sempre l’Istat a citare i numeri dello sperpero: in media il 33,9% dell’acqua che viaggia nelle condutture lungo l’intera Penisola viene perso per problemi strutturali della rete. Un dato che, in alcune regioni del Sud, raggiunge anche la quota del 40%. Tra i grandi comuni, a Milano, Genova, Bologna, Venezia e Verona la distribuzione dell’acqua è nel complesso efficiente (perdite di rete comprese tra il 20 e il 30%, inferiori al valore medio), mentre le peggiori performances si riscontrano a Catania e Cagliari (con dispersioni intorno al 58%). Critiche le situazioni riscontrate in tre capoluoghi sardi e a Messina. Da non trascurare i dati, risalenti al 2012, rilevati a Frosinone, Reggio Calabria e Sassari: per accumulare acqua nei serbatoi e fronteggiare la richiesta di acqua nelle ore di maggiore consumo, si è reso necessario sospendere la fornitura principalmente nelle ore notturne. Fenomeno reso ancora più evidente in quelle località che, per effetto del turismo, vedono decuplicare nei mesi estivi la popolazione.
Per non parlare delle organizzazioni che operano illegalmente per fornire, attraverso sistemi di irrigazione e abbeveramento animale da loro gestiti, l’acqua che serve in agricoltura e allevamento. L’acqua quindi come petrolio del futuro. Ed è per questo che fa gola a molti, e la sua privatizzazione viene considerata un ottimo business, tant’è che in alcune aree della penisola, carenti di acqua potabile, la sua erogazione viene fatta, in certi periodi dell’anno, da aziende private e a tariffe notevolmente maggiorate rispetto a quelle stabilite in sede comunale. Inoltre alcune zone particolarmente soggette a inquinamento delle falde acquifere, dovute a discariche abusive di elementi tossici, costringono la popolazione al consumo di acque minerali in bottiglia.
L’Italia è il Paese con il maggior consumo di acqua minerale nel mondo: 194 litri pro capite (fonte: Legambiente) solo nel 2006. Più di 50 euro all’anno per persona. Un dato in costante aumento che si è triplicato in poco più di 20 anni (nel 1985 erano appena 65 litri). Bevendo l’acqua del rubinetto la spesa non avrebbe raggiunto i 30 centesimi di euro all’anno e nei distributori di acqua pubblica il costo è pari a zero. Alcuni comuni particolarmente attenti al bisogno di fornire acqua potabile, hanno installato distributori pubblici di acqua controllata e in alcuni casi viene erogata anche frizzante. I distributori di acqua pubblica già installati hanno permesso, alle famiglie che ne usufruiscono, un risparmio complessivo annuo di 480.000 euro (nella zona in cui opera IREN Emilia).
L’impatto ambientale derivante dalla produzione delle acque minerali è evidente. Basti considerare l’uso di bottiglie di plastica monouso e il consumo di petrolio per fabbricarle, i camion per trasportarle e le relative emissioni in atmosfera. La produzione, il trasporto e lo smaltimento di una bottiglia di acqua minerale sono caratterizzate da un forte impatto sulla qualità ambientale: solo nel 2006 per produrre le bottiglie di plastica per imbottigliare i circa 12 miliardi di litri di acque minerali sono state utilizzate 350mila tonnellate di PET, con un consumo di 665mila tonnellate di petrolio e un’emissione di gas serra di circa 910mila tonnellate di CO2 equivalente; la fase del trasporto dell’acqua minerale influisce non poco sulla qualità dell’aria, visto che le bottiglie percorrono molti chilometri su strada prima di arrivare sulle nostre tavole, viaggiando solo per il 18% del totale su ferrovia. L’acqua pubblica invece arriva nelle nostre case e ai distributori gratuiti attraverso la rete di acquedotto e quindi non percorre neanche un metro su strada. E’ un’acqua “a chilometri zero” che evita l’inquinamento atmosferico dovuto alla produzione, al trasporto e allo smaltimento delle bottiglie con un risparmio di spesa e, soprattutto, con un beneficio per l’ambiente e la salute dei cittadini.
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