
Darvaza: la porta dell’inferno
di Luigi Diego Di Donna
Nel bel mezzo del deserto del Karakum, tra distese di sabbia e cristalli di quarzo, brucia perenne la fiamma di Darvaza: la porta dell’inferno.
Siamo in Turkmenistan, un paese talmente ricco di giacimenti di gas e petrolio che tutti i cittadini hanno diritto, ogni mese, a 120 litri di benzina gratuiti. Nel caso non fossero sufficienti, il prezzo al litro per i rifornimenti successivi equivale a circa 0.15 centesimi di euro. Gas ed elettricità sono invece gratuiti nella capitale Aşgabat, in cui è concentrato un quinto della popolazione totale. I rimanenti quattro milioni di abitanti vivono sparsi nel resto del paese.
Il vastissimo deserto del Karakum (le sabbie nere in lingua locale) occupa il 70% della superficie dello stato ed è quasi completamente disabitato. Le poche tribù che vi si possono incontrare hanno uno stile di vita seminomade. È qui, in questa piana arida, a 260 chilometri dalla capitale, che si trova il cratere di Darvaza.
Tutto ha inizio nel 1971: il Turkmenistan faceva ancora parte dell’Unione sovietica ed i russi sfruttavano questo ricco territorio per estrarne gas e petrolio. Durante una delle trivellazioni, l’incidente: ad essere perforato fu il tetto di un’enorme caverna contenente gas metano. Il terreno tutt’attorno collassò portando con se le attrezzature dei geologi. Ne risultò un cratere di 70 metri di diametro per 30 di profondità ed una incontrollabile fuoriuscita di gas. Pare che nessuno perse la vita quel giorno, ma, per il timore che si diffondesse gas velenoso, si pensò fosse più sicuro dargli fuoco in modo che potesse bruciare ed estinguersi nel giro di pochi giorni. Vana speranza: da più di quarant’anni la fiamma di Dravaza continua a risplendere.
Tra le popolazioni del deserto è diffusa la credenza che si tratti di un fenomeno soprannaturale. Ritengono infatti che quel grosso buco nel suolo sia la porta che conduce al regno dei morti. Una curiosa coincidenza vuole poi che Darvaza, in origine, fosse il nome di un piccolissimo villaggio, oggi abbandonato, nei pressi del giacimento di gas. Successivamente il cratere ne prese in prestito il nome che significa, in turkmeno, cancello o porta.
“Lo spettacolo è davvero impressionante – racconta entusiasta Emanuele Affaticati, affermato fotografo naturalista che ha visitato la zona nell’estate del 2013 – : ai bordi dell’avvallamento l’odore di gas è fortissimo. Le fiamme guizzano verso l’alto portando la temperatura circostante ben oltre i 40°C. Al centro una spirale di fuoco alta 10-15 metri si avvita su se stessa da quattro decadi, ininterrottamente. Nei giorni particolarmente ventosi è impossibile avvicinarsi: le improvvise folate di aria satura di gas rovente, che s’espandono nei dintorni per decine di metri, rendono pericoloso persino respirare. Al calar della sera la fiamma di Darvaza risplende nel buio del deserto, visibile da chilometri di distanza!”
Singolare che in tutti questi anni nessuno abbia mai tentato di chiudere la voragine o di incanalarne le risorse energetiche. Probabilmente il Turkmenistan ha una tale abbondanza di giacimenti da rendere superfluo l’interessamento a quel cratere in particolare. Da considerare anche che Darvaza è diventata una delle mete turistiche più gettonate del paese. Per visitarla bisogna chiedere l’autorizzazione ad un’agenzia locale che consente l’escursione solamente al seguito di una guida esperta.
Presto o tardi la fiamma di Darvaza è destinata ad estinguersi, ma intanto, nel mezzo del Karakum, la porta dell’inferno continua a bruciare.
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