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Premio internazionale Scritture d’Acqua. la parola a Piero Laureano e Wolfang Sachs

Premio internazionale Scritture d’Acqua. la parola a Piero Laureano e Wolfang Sachs

 

Reprint. Mentre si sta predisponendo il programma della XIX edizione 2014 di Scritture d’acqua, vi riproponiamo le interviste ai due vincitori della XIII edizione, due scienziati, ma ancor più due persone di grande valore: Pietro Laureano e Wolfgang Sachs

di Giovanni Angileri e Gabriele Nicolus

Venerdì 28 novembre 2008 è stato assegnato il Premio Internazionale Scritture d’Acqua, che si propone di anno in anno di consegnare un’onorificenza a personalità che si sono distinte per la creazione di opere letterarie, artistiche e scientifiche il cui tema è l’acqua. La premiazione, avvenuta durante una cena di gala presso il Ristorante Villa Maria Luigia a Collecchio, è stato solo il momento culminante di un’iniziativa che, arrivata ormai alla sua tredicesima edizione, si struttura in una serie di convegni, mostre, esposizioni e altri eventi culturali e spettacolari. I vincitori di quest’anno sono stati Wolfgang Sachs (direttore di ricerca al Wuppertal Institut per clima, energia, ambiente) per la sezione «Scienza e tecnologia», e Pietro Laureano (architetto e urbanista) per la sezione «Letteratura e Arte».

Nella serata è stato offerto ai partecipanti un menù esclusivamente a base di pietanze la cui preparazione non ha richiesto uno spreco d’acqua: dunque cibi cotti nel loro stesso liquido costituente e, dove questo non è stato possibile, l’acqua usata per cuocere determinati alimenti è stata riciclata e riutilizzata per preparare altri piatti.

Tra una portata e l’altra i due premiati sono intervenuti a spiegare il loro pensiero e le loro preoccupazioni. Ecco le interviste con i due vincitori.


Intervista a Pietro Laureano

Pietro Laureano è una figura di spicco nel panorama internazionale; oltre ad essere architetto e urbanista è infatti consulente Unesco per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo. Ha vissuto nel Sahara per lo studio e il restauro delle oasi in Algeria e ha coordinato progetti in Yemen, Mauritania, Etiopia e in tutto il Mediterraneo. Ha insegnato nelle Facoltà di Architettura delle Università di Firenze, Algeri e Bari. È stato direttore scientifico del padiglione della Sete (SED) nell’ambito dell’Esposizione Universale di Saragozza del 2008 e attualmente rappresenta l’Italia nel Comitato Tecnico-Scientifico della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta contro la desertificazione (UNCCD).

Laureano ha inoltre promosso la realizzazione di una Banca Mondiale sulle conoscenze tradizionali e il loro uso innovativo ed è autore dei rapporti che hanno portato all’iscrizione dei Sassi di Matera e del Parco del Cilento nella lista del Patrimonio mondiale dell’UNESCO. Fra i suoi libri si segnalano La Piramide Rovesciata. Il modello dell’oasi per il pianeta terra (Bollati Boringhieri, 1995) e Atlante d’acqua. Conoscenze tradizionali per la lotta alla desertificazione (Bollati Boringhieri, 2001). Il Premio Internazionale Scritture d’Acqua gli viene assegnato anche per l’impegno diretto nel recupero degli ecosistemi urbani e alla salvaguardia del paesaggio.

Professor Laureano, lei è consulente Unesco per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo. Cosa l’ha portata ad interessarsi a queste tematiche? Un’esperienza particolare oppure una pura coscienza critica sviluppata nel tempo?

«L’evento particolare fu la richiesta rivolta ai laureati di architettura di Firenze di andare a collaborare a creare una città nuova in Algeria, sulla costa. Arrivato sul posto però mi accorsi che si trattava di speculazione edilizia. Ebbi comunque modo di visitare l’interno dell’Algeria e lì conobbi il deserto, che mi affascinò al pari dei popoli che ci vivevano e dall’architettura presente: c’erano tante strutture ed insediamenti, mentre il deserto è comunemente considerato vuoto.

Capii così che lì c’era qualcosa di diverso da quello che avevo immaginato e appreso fino a quel momento dai libri, ma fui cacciato dall’equipe perché ideologicamente contrario a costruire quelle case e feci ritorno in Italia. Il governo algerino aveva però apprezzato il mio interessamento e mi propose di lavorare nel deserto, in un’oasi. Cominciai con un periodo di due anni, poi insegnai urbanistica ad Algeri e infine arrivai a costruire l’idea dell’oasi come fatta dall’uomo. Questa teoria interessò molto l’Unesco, perché riscopriva un mondo culturale: l’oasi non come natura, ma come progetto umano. Da quel momento iniziai a lavorare per l’Unesco in zone aride come Yemen e Mauritania.

In Italia, decisi di fare uno studio sui Sassi di Matera proprio perché assomigliavano molto ai questi luoghi aridi, come Petra in Giordania. In quel periodo avevo conosciuto Astia, mia moglie (che viene dall’Africa), e ci andai con lei: comprammo una casa abbandonata e incominciammo a restaurarla. Non aveva senso ritornare a Firenze e lo studio si poteva fare solo rimanendo in loco. È forte l’analogia fra il deserto e Matera, la mia città. Nel Sahara, quando mi interessavo alle grotte, ai cunicoli e alle case di terra cruda, la popolazione me ne chiedeva il motivo. Io descrivevo allora le somiglianze fra i paesaggi: forse sono stato bene nel deserto perché c’era questa città nelle mie origini.»

A bruciapelo, emotivamente parlando, Matera o Sahara?

«Il Sahara. Forse perché i posti più consueti sono meno esotici, meno rudi. Matera era comunque dentro di me e quindi era consueta. Il Sahara è più grande, è una Matera ripetuta migliaia e migliaia di volte e ciò ti porta a farti delle domande. Poi, ripeto, è solo grazie al Sahara che sono stato in grado di capire Matera. Quando sono stato a Petra mi sono detto che dovevo riuscire a guardare la mia città nello stesso modo, con occhio estraneo e non dando niente per scontato.»

Lei ha lavorato nell’ambito dell’Esposizione Universale di Saragozza. Quante persone oggi soffrono la sete nel mondo? Il cittadino medio occidentale, quello al quale non manca l’acqua potabile, può fare qualcosa di concreto per migliorare la situazione?

«La sete c’è in tutto il mondo. Si calcola che trecento bambini al giorno muoiano per mancanza d’acqua potabile, soprattutto nell’Africa sub-sahariana. Ma il problema è presente anche dove paradossalmente ce n’è molta, ma non potabile perché paludosa o inquinata. Le tecniche non sono mai mancate: pensiamo ad esempio ai Maya, avevano grandi camere dove raccogliere l’acqua che affiorava in superficie. Quando arriva la modernità e le popolazioni diventano dipendenti dagli acquedotti, però, abbandonano e dimenticano queste pratiche.

A Petra, in tempi antichissimi, filtravano l’acqua con il carbone attivo, mentre a Matera si usava la calce. L’avvento della modernità fa perdere queste conoscenze: il mio lavoro consiste nel loro recupero. Altrimenti accade che l’acqua minerale viene venduta a tre euro al litro, quando con 50 centesimi se ne possono fare mille.

Ricapitolando, ci sono milioni di persone nel modo che non hanno accesso all’acqua e che quindi muoiono. Quello che possiamo fare noi è non alimentare questa politica di spreco, non creare un modello di consumo che sarebbe insostenibile se esteso su tutto il pianeta. Dobbiamo dimostrare che esistono modi diversi di consumare l’acqua. Io personalmente faccio una battaglia personale contro l’acqua minerale e vorrei che nelle abitazioni arrivasse l’acqua potabile solo in cucina e che nei bagni arrivasse solo quella non potabile, possibilmente quella piovana. L’acqua sprecata in uso domestico è il 90% di quella che utilizziamo e ci viene ‘riportata’ in casa a prezzi altissimi.»

Ma ci sono delle zone in Italia dove l’acqua del rubinetto non è buona…

«Non è vero. In genere gli acquedotti forniscono un’acqua buonissima, a volte quasi certamente migliore di quelle minerali, che non sono sottoposte a controlli rigidi come quelli che si effettuano negli impianti. Inoltre, per fare una bottiglia, si sprecano dieci litri d’acqua, quindi è più l’acqua consumata per fare il contenitore che quella in esso contenuta. Per non parlare del problema dei rifiuti che queste bottiglie producono una volta utilizzate.»

E da un punto di vista di salute?

«Secondo me è più sana quella del rubinetto. Per esempio l’acquedotto di Firenze sta mettendo delle cannelle pubbliche con acqua garantita ad altissima qualità. Quello che vorrei io è che si mettesse acqua come questa solo in cucina, e quindi solo per essere bevuta, tralasciando gli usi sanitari. Si abbatterebbero enormemente i costi e si creerebbe un modello sostenibile per i paesi del sud del mondo, che tendono ad imitarci. Siamo noi infatti che decidiamo gli standard e i modelli di consumo e tecnologici per il pianeta. Purtroppo intorno all’acqua gravitano enormi interessi, è il prodotto dove si fa più speculazione. 50 centesimi per un litro d’acqua. Ma vi rendete conto?»

Ci sono delle acque minerali, come l’acqua Fiuggi, che sono riconosciute come molto benefiche per l’organismo grazie al loro equilibrio di sali minerali.

«Sono medicine in realtà, dovrebbero essere utilizzate sotto controllo medico. Alcune, avendo determinate caratteristiche specifiche, fanno addirittura male. Se non basta, molte falde acquifere sono inquinate ed è quindi meglio bere l’acqua del rubinetto.»

A Parma l’acqua molto calcarea, è dannosa?

«Sì, bere troppa acqua eccessivamente calcarea può far male ad alcune persone. Dipende dai vari organismi: se un individuo ha un problema, ha bisogno di un’acqua di un certo tipo, se ne ha un altro, avrà bisogno di un altro. Per questo dicevo che può essere considerata come un medicinale. In ogni modo, il calcare si può abbattere utilizzando, ad esempio, dei filtri per uso domestico.»

Come mai la qualità dell’acqua, anche di una stessa città, varia da zona a zona?

«Dipende dalle rocce che attraversa, e non dalle tubature come si potrebbe pensare.»

Padre Alex Zanotelli a Napoli parla di «diritto all’acqua». Lei crede che ormai sia necessario parlare di un diritto all’acqua in questa società?

«In una situazione dove si specula su questa sostanza e in particolare sulle acque minerali si è arrivati al punto di dire che è un diritto e che se si nega questo diritto si nega la vita. La quantità di acqua vitale per ogni organismo (non solo per l’uomo, ma anche per le piante e per gli animali) deve essere garantita. Dopodichè gli sprechi possiamo farli pagare, tassando l’utilizzo dell’acqua che non sia per l’alimentazione.»

Crede che la crisi economica andrà ad aggravare le altre crisi già esistenti nel mondo, come appunto quella idrica?

«Le crisi si aggraveranno. Le strade possono essere due: la catastrofe o l’uscita in altro modo. Noi dobbiamo lottare perché se ne esca in questa seconda maniera, che sia salutare e deflazionistica.»


Intervista a Wolfgang Sachs

Wolfgang Sachs è nato a Monaco, in Germania. Ha fatto studi di teologia, sociologia e storia a Monaco, Tubinga e Berkeley. Dal 1993 è direttore di ricerca al Wuppertal Institut per clima, energia, ambiente, dove è responsabile del progetto interdisciplinare «Globalizzazione e sostenibilità». È professore onorario all’Università di Kassel, membro del Club di Roma e conosciuto come allievo di Ivan Illich. I suoi lavori critici sull’idea di sviluppo hanno influenzato il movimento ecologista. Wolfgang Sachs è stato presidente di Greenpeace Germania e nel 2007 ha partecipato al progetto Stock Exchange of Visions. È autore di molte ricerche, saggi e articoli nel campo dell’ambiente, della globalizzazione, dei rapporti Nord – Sud e sulla necessità di un profondo mutamento sociale ed ecologico.

Rivedere l’uso delle risorse naturali, ridurre gli sprechi, ri-orientare il sistema dei sussidi che hanno distrutto le agricolture dei paesi poveri, intervenire sulle cause di inquinamento ambientale ormai insostenibile sono infatti i temi al centro del pensiero e dell’impegno di Sachs. Non solo scientifico ma anche morale e civile, quindi, che i titoli di alcuni suoi libri sintetizzano bene: Dizionario dello sviluppo (Gruppo Abele, 1998), Ambiente e giustizia sociale. I limiti della globalizzazione (Editori Riuniti, 2002), Per un futuro equo (Feltrinelli, 2008).

L’interesse e l’impegno sulle tematiche che riguardano l’acqua scaturiscono da una passione nata per caso o la causa va ricercata nei suoi studi pregressi?

«Deriva da due fonti diverse: il fatto che io pensi all’acqua come ad uno dei quattro elementi e dunque ad una delle risorse elementari, mi porta a tenerla in considerazione nelle discussioni sul futuro delle risorse della natura; l’altro fattore consiste nel fatto di essere un allievo di Ivan Illich, che ha scritto un bellissimo libro: H2O o Le acque dell’oblio, dove pone l’accento sulla forza mitologica dell’acqua, la quale gioca un ruolo importante nell’immaginario, nella mitologia e nei riti (ad esempio la centralità dell’acqua nella liturgia cristiana) sotto tante forme. L’acqua è un costituente e una materia della quale il nostro ‘immaginario’ è fatto.»

Lei è stato presidente di Green Peace Germania: pensa che l’attribuzione delle bandiere blu a determinate zone di mare italiane nasconda interessi di tipo economico-turistico?

«Le ragioni di assegnazione vanno ricercate in motivazioni sia di tipo etico, sia di interessi particolari: sicuramente si inizia per una questione etica e poi entrano in gioco anche interessi di tipo commerciale. Per fortuna è così, perché poi anche l’etica ha bisogno di un appoggio di interessi più tangibili e materiali, altrimenti diventa troppo volatile: l’etica si fortifica quando si sposa con interessi di tipo economico.»

C’è una differenza di sensibilizzazione riguardo alle tematiche che riguardano l’acqua e il suo spreco, tra la cultura tedesca e quella italiana?

«In Italia c’è sicuramente un’attenzione maggiore che in Germania per l’acqua del mare, visto che il mio paese non si vede e non si percepisce come marittimo, tranne un pezzo del nord. Poi ci sono sicuramente delle differenze regionali, per esempio nella Baviera, da dove provengo io: l’acqua dolce, i posti fluviali, i laghi ricoprono un ruolo molto centrale, infatti sono stati stanziati tanti investimenti per tenerli puliti.»

E dal punto di vista dello spreco?

«Per un paese ricco di acqua come la Germania io porrei il problema del costo del dis-inquinamento (l’agricoltura è la fonte primaria di inquinamento), che è più importante del problema dello spreco. Tuttavia, sicuramente, per tenere più basso possibile il tasso di inquinamento, è anche importante fare attenzione al volume di acqua che si usa. Un dato importante per me è il successo della politica ambientale in Germania riguardo al problema dell’inquinamento dell’acqua, che è stato in gran parte risolto: tu puoi oggi bere l’acqua dei laghi in Baviera. In linea generale, io non ne farei una questione tedesca o italiana, piuttosto qualcosa che riguarda le varie regioni.»

Il risparmio di acqua nei posti dove ce n’è in abbondanza è un risparmio fine a se stesso oppure ‘provoca’ un effetto positivo in quei paesi dove l’acqua è un miraggio?

«Certo, il buon esempio è sempre una bella cosa e da un punto di vista generale certamente importa il modo in cui noi viviamo, il modo in cui usiamo l’acqua. Ma nelle nostre zone io non credo se ne possa fare tanto un problema etico, quanto economico, visti i costi dell’acqua. Non tanto per la scarsità di questa, quanto per il suo trattamento. Quindi si potrebbe entrare in un circolo di risparmio per questioni economiche.»

Lei beve l’acqua del rubinetto o quella in bottiglia?

«Dal rubinetto. Io non compro mai l’acqua in bottiglia perché non ho voglia di portare quel peso fino al terzo piano dove vivo. L’unica cosa liquida che mi permetto di comprare è il vino.»

Si interessa al rapporto acqua – salute?

«Non mi interessa così tanto. Solo adesso che sto diventando un po’ anziano ho cominciato ad avvicinarmi alle terme. Questo anche e soprattutto in considerazione del fatto che mia moglie ha lavorato a Napoli e visto che Ischia è lì vicino ho cominciato ad apprezzarne le terme.»

Cosa pensa dell’acqua minerale in bottiglia?

«Ci sono tante indicazioni che ci dicono che le due acque (rubinetto e bottiglia) non sono così diverse tra loro. Dal punto di vista della salute non c’è tanta differenza, perché entrambe sono sottoposte a controlli; dal punto di vista dei minerali neanche. Di conseguenza, l’acqua minerale in bottiglia è solo qualcosa di simbolico, qualcosa che serve per arricchire i ristoratori. Io non credo che tutta l’acqua imbottigliata venga consumata, anzi moltissima viene sprecata.»

È vero che le acque ad alto residuo calcico e magnesico favoriscono la comparsa di calcolosi renali oppure è un mito da sfatare?

«Sono troppo vecchio per credere a questa moda!»


Per ulteriori informazioni sulla serata della premiazione collegarsi al sito www.scritturedacqua.it.

Circa l'autore

Giorgio Triani

Sociologo, giornalista, consulente d’impresa.

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