
Alla scoperta del Tesoro del Taro, con Guido Fontechiari al Museo Orsi Coppini
di Daniele Manieli
L’incontro era per le 17 e 30. Puntuale come un orologio svizzero, il conducente della Opel bianca si ferma nella piazzola di sosta e carica me i miei due compagni del corso di giornalismo. Siamo ospiti nell’auto di Guido Fontechiari, diretti alla presentazione del suo primo romanzo “Il Tesoro del Taro” ( Edizioni, Fermento, € 14.00) . Che si tiene a San secondo Parmense, nel Museo Orsi Coppini,organizzata nell’ambito della XIX edizione di “Scritture d’Acqua”
Fontechiari è un uomo pieno di energia, che non dimostra gli anni che ha. Chiacchiera amabilmente e rompe subito il ghiaccio, raccontando qualche breve aneddoto sui suoi viaggi in America e per il mondo. Gli chiediamo subito del libro: trama, personaggi e ambiente.
“Protagonista è un cantante che sta via dal paese per tanto tempo, fa anche una discreta carriera ma un giorno gli capita di cadere giù dal palco e diventare un po’ rincoglionito. Questo personaggio, ci dice, è importante, perché attraverso i suoi occhi potremo vedere il cambiamento del paese, della provincia. L’agricoltura che non è più quella di una volta, il paesaggio è cambiato, la gente è chiusa in se stessa, tutto è stato stravolto”.
Sarà un medico psichiatra dal nome evocativo di Hermann von Freitagfhelt, (ovvero “che gli manca un venerdì”, come tiene a precisare Fontechiari), a consigliare al povero cantante lirico di tornare proprio al paese. Ma non è l’unico dal nome allegorico o evocativo, infatti ci spiega come il terzo personaggio sia un sagrestano a cui muore il prete, che si chiama Longino, “che era poi quello che aveva trafitto Gesù Cristo”. Sarà proprio la morte del prete a fruttare il ritrovamento di una mappa e far iniziare le ricerche di un misterioso tesoro.
A questo punto Fontechiari ci spiega allegoricamente cosa rappresenti tale tesoro, “Un’emancipazione da quella che era la cappa della Chiesa negli anni ’60” , specificando però “non tanto della Chiesa ma delle Curie”. Rispetto alle quali “questo tesoro rappresenta il suo modo di emanciparsi”.
E così che mentre continuiamo nel tragitto, Fontechiari inizia un discorso sull’attuale situazione , sui giovani e il mondo che le generazioni precedenti hanno loro consegnato. Un argomento che non è scollegato dal libro, ma è anzi un approfondimento, poiché è proprio con questo romanzo che Fontechiari trasmette il suo rammarico per un futuro incerto, per un mondo che si è dimenticato delle sue vere tradizioni e oggi si trova allo sbando.
Chiedo, retoricamente: lei non è ottimista su futuro? La risposta è netta: “Chi la vede con ottimismo ha il suo interesse. Non si può essere ottimisti in una nazione che umilia i giovani. Il rapporto del CENSIS reso pubblico proprio oggi dice che siamo in una nazione che ai giovani toglie i sogni e le speranze, non dando loro la possibilità di realizzare la propria vita, in un modo o nell’altro secondo le proprie possibilità e la propria intelligenza”
Siamo arrivati e scendiamo dalla macchina. Il luogo designato per la presentazione ci attende: una vasta agorà si apre al nostro passaggio e si erge un edificio circondato dagli ulivi. Ci soffermiamo ad ammirare l’architettura del complesso e dei vecchi strumenti da lavoro presenti nel Museo dell’Arte olearia dove andremo a sentire a breve la presentazione del romanzo.
“E’ un libro composto di diverse parti”, spiega Luisa Pecchi, editor del romanzo che ha affiancato nella revisione finale l’autore; c’è un romanzo anzitutto, ma per approfondire i temi che Fontechiari voleva trattare ma che “distraevano troppo dalla trama” si è pensato di strutturare un’appendice, che serva ai lettori “che si innamorano di questo stile che riecheggia un po’ Guareschi” per ritrovare le storie che nel romanzo emergono con forza: la storia dell’Italia, la riforma agraria, il modo in cui la vita era organizzata negli anni del dopoguerra, l’approdo nella società dei consumi e così via.
Un altro punto focale messo in luce riguarda le note che qua e là punteggiano il racconto: importanti, fondamentali e che viene suggerito di leggere quando le si trova. Perché il romanzo non racconta solo una storia, ma racconta un mondo che cambia, che è cambiato e che ora non c’è più. L’ambientazione la fa da padrona: comprenderla e immergersi in questa, migliora l’esperienza della lettura.
Tuttavia il romanzo “non è un mattone” precisa con un sorriso l’autore, “ aggiungendo che “si lascia leggere piacevolmente”, e sottolineando che le molteplici letture possibili non spaventano chi si avvicinerà al suo primo libro.
Ancora una volta emergono quei temi importanti che Fontechiari ci aveva già accennato, la visione pessimista del futuro e di un Paese che perde la sua cultura e le sue tradizioni
Durante la presentazione sono state lette pagine del romanzo: le più poetiche e divertenti. Come “La cassa pelosa”, che racconta di un uomo che commissiona una cassa da morto particolare, imbottita di peli pubici femminili, che possano accompagnare la sua dipartita in maniera piacevole. ” Il basso e l’alto sono sempre mescolati”, rimarca Luisa Pecchi.
Ha chiuso l’incontro un breve intervento di Giorgio Triani, coordinatore di Scritture d’Acqua, che ha sottolineato come oggi e in maniera accelerata nei prossimi anni siano nel pieno di un cambiamento globale e totale, di un reset di sistema che sta modificando profondamente la nostra vita. Ciò in sintonia con i temi e lo spirito di un romanzo che guarda al futuro raccontando un tempo passato luminoso e splendido dove il “tesoro del Taro” era di tutti.
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