
Coca-Cola’s coming crisis?

di Nicola Degani
Coca-Cola, la più grande azienda di bevande del mondo, non sta navigando nelle floridissime acque di un tempo. Ma non è notizia di oggi: da quasi dieci anni infatti le vendite del colosso stanno progressivamente diminuendo, tanto che nel 2013 le entrate sono calate del 2% rispetto all’anno precedente (si è scesi dai 48 miliardi di dollari del 2012 ai 46,8 miliardi del 2013). La novità è che ora è l’intero settore delle bibite gassate a essere in crisi. Principalmente per il cambiamento di abitudini alimentari degli americani – i principali consumatori di junk food – che hanno cominciato a prendere coscienza dei rischi per la salute del cibo e bevande fast food. Persino il vicepresidente della Coca-Cola Company ha dichiarato di bere al giorno non più di due bottigliette della celebre bevanda in rosso, per non mandare in rosso la propria salute.
Se vogliamo dare meriti a qualcuno per questa opera di sensibilizzazione delle abitudini statunitensi, un po’ bisogna assegnarne a Michelle Obama e alla sua Let’s Move!, la campagna che ha lanciato nel 2010 con l’obbiettivo di affrontare l’obesità infantile e risolvere il problema entro una generazione.
Iniziative come queste hanno seriamente minato l’economia delle bibite gassate, anche se per molti aspetti sono state proprio le strategie commerciali delle due aziende regine – Coca-Cola Company e PepsiCo – a dare inizio a questa crisi. Fin dagli anni ’80 la concorrenza tra le due ha generato un’aggressivissima lievitazione dei formati dei loro prodotti: bottiglie sempre più grandi, così come i bicchieroni “alla spina” tipici dei fast food sono stati i primi capri espiatori della moda salutista, portando ad una successiva implosione del mercato. Per non parlare dell’interesse crescente dei consumatori nel voler conoscere con esattezza il contenuto di ciò che stanno mangiando – e parte della strategia di marketing della Coca-Cola è sempre stato il velo di mistero riguardo gli ingredienti del loro prodotto più famoso.
La “Guerra delle Bollicine”, come la definisce Pasquale Barbella, tra queste due compagnie si è vista anche combattere quasi sul piano ideologico-politico come strategia pubblicitaria nel corso degli anni ’80-2000: “Pepsi butta la cosa in ridere,” afferma Barbella “identificando in Coca-Cola la bandiera di un ipotetico partito conservatore, un’ala destra costituita da adulti tristi, decrepiti, in via di estinzione; corregge tuttavia di tanto in tanto il tiro, specificando che non è l’età anagrafica quella che conta, ma l’età mentale.”
Per superare questa crisi Coca-Cola si sta reinventando commercialmente, ribaltando il trend di una trentina di anni fa: vengono abbandonati i formati extra-large mentre si punta su confezioni più piccole e accattivanti, che diano l’illusione di consumare meno. E infatti le vendite delle mini-lattine si sono decisamente alzate. In tal modo Coca-Cola è quasi riuscita nel tentativo di fare più soldi facendo bere meno la gente.
Oppure sta drasticamente cambiando il modo in cui fruire delle bibite, introducendo in diversi esercizi macchinette spillatrici che offrono l’opportunità di personalizzare la bevanda attraverso un’ampia gamma di gusti.
Anche la diversificazione della produzione può rivelarsi una risorsa: negli Stati Uniti l’azienda ha intrapreso una campagna di aumento dei prodotti e dei marchi. A questo scopo ha creato una divisione, la Venturing & Emerging Brands, con lo scopo di individuare ed eventualmente acquistare le start-up emergenti e potenzialmente più redditizie: un’indagine commissionata nel 2007 dalla compagnia sostiene in effetti che il 20% delle vendite ed il 50% della crescita del mercato delle bibite si sta verificando grazie alle piccole imprese (e parliamo di un giro d’affari di 120 miliardi di dollari). A questo proposito nel 2007 la Coca-Cola Company ha acquistato la Glacéau Energy Brands, specializzata nella produzione di bibite energizzanti che si sono rivelate poi essere più che altro concentrati di acqua zuccherata al pari della sua più famosa cugina (una bottiglietta di Coca-Cola da mezzo litro contiene da sola 55g di zucchero, più di dieci cucchiaini). Tuttavia le cosiddette bevande energetiche a base di zuccheri e caffeina fanno ancora parte di un florido mercato, motivo per cui ai colossi del settore conviene puntare su di esse.
Marta Razzetti, giovane art director di Parma, dice sull’argomento: “A conti fatti Coca-Cola ha un’ottima strategia al passo coi tempi, e propone una visione esperienziale del prodotto. Ciononostante il suo trend è negativo: perché? Probabilmente perché nei paesi occidentali c’è più controllo su cosa si mangia (e si ritorna alle cosiddette “mode salutistiche”), mentre entrare nei mercati in via di sviluppo è complicato dal momento che in ogni stato c’è spesso già un leader di mercato difficile da battere.”
La vera arma su cui la Coca-Cola può contare rimane perciò comunque il marketing: attraverso uno studiato utilizzo dei social media, ad esempio. La pagina Facebook di Coca-Cola (nata in realtà come fan page da due entusiasti consumatori e solo successivamente “acquistata” dalla compagnia) tende a non riempire la propria bacheca di post con eccessiva frequenza, ma lascia che siano gli altri utenti ad interagire con essa. Discorso quasi analogo per Twitter, dove ogni prodotto ha una propria pagina dedicata, e il team che si occupa di gestirla risponde alle varie menzioni piuttosto che postare tweet indipendenti.
Il marketing tradizionale ha invece puntato moltissimo sulla personalizzazione delle lattine o delle bottigliette con il proprio nome o scritte analoghe, o, più recentemente, l’etichetta che si trasforma in un fiocco regalo. L’intento è quello di rientrare nel focolare – o più correttamente nel frigorifero – domestico non più come un’ospite sgradita ma come un membro della famiglia, rassicurando la gente e facendo in modo che smetta di vederla come una minaccia o di sentirsi in colpa quando beve le sue bibite.
Davvero una curiosa inversione di prospettiva per una bibita che nacque proprio come una risposta legata al benessere, quando il farmacista di Atlanta John Pemberton rielaborò nel 1886 un prodotto da lui creato per combattere il mal di testa!
Negli Stati Uniti, il calo di vendite della Coca Cola nell’ultimo periodo, è abbastanza “sentito”. Questo dato si spiega col fatto che sempre più persone sono attente a cosa mangiano e bevono, e di conseguenza, il consumo di bevande gasate ne risente. Per molte aziende del settore questo trend negativo non è affatto una buona notizia, ma per “The Coca Cola Company”, la cui vendita delle “sue” bevande costituisce il 75 per cento delle vendite totali, il tema pone serie questioni sul futuro della società. In molti in tutto il mondo, si stanno interrogando su quale sia il futuro di questo bibite e su come i grandi produttori possano affrontare il calo delle vendite: adattarsi al nuovo mercato, come suggeriscono molti analisti, o provare a cambiarlo?
Soprattutto negli USA, dove il problema dell’obesità è particolarmente sentito (la first lady Michelle Obama, per esempio, ne ha fatto la sua battaglia politica), il volume delle vendite di bevande gasate negli ultimi anni è sceso di molti punti percentuali; a differenza del mercato di quelle non gasate (succhi di frutta e thé freddo, per esempio) dove specialmente nel Nord America è andato nella direzione opposta: le vendite sono cresciute a “vista d’occhio”.
Purtroppo, i mutamenti del mercato renderanno impossibile per la Coca Cola rispettare i suoi piani di crescita, a meno che non cambi radicalmente la sua strategia di mercato, adattandosi alle nuove esigenze dei consumatori. Il brand possiede già 11 marchi di bibite non gasate, tra cui i succhi di frutta Minute Maid e le bevande energetiche Powerade, che producono profitti per 1 miliardo di dollari ciascuna.
Ad Atlanta hanno davanti due strade per rispondere alle variazioni del mercato: la prima è diversificare, allargando la propria offerta di bevande non zuccherate con una serie di acquisizioni mirate, la seconda è cercare di invertire la tendenza con una migliore e più efficace promozione pubblicitaria delle bevande gasate, la Coca Cola in primis.
Tra le società che molti indicano come possibili obiettivi di Coca Cola ci sono Arizona Beverage Co. e Monster: la prima è un grande produttore del settore dei thè pronti, mentre la seconda è il più grande produttore di energy drink degli Stati Uniti. Entrambe le società, però, stanno avendo dei problemi che, al momento, rendono improbabile un’acquisizione.
Forse anche per questo motivo, come ha spiegato il “Wall Street Journal”, la Coca Cola per il momento non sembra intenzionata a cambiare i suoi piani di mercato e ha deciso di raddoppiare gli investimenti sui suoi prodotti più in crisi: Coca Cola e Coca Cola Light. La società ha programmato nel 2014 l’aumento della spesa pubblicitaria di circa un miliardo di dollari, puntando soprattutto sulla sponsorizzazione dei Mondiali di calcio, che per la Coca Cola è stata la più grande campagna pubblicitaria di sempre.
Inoltre, negli ultimi mesi è stato lanciata in Nord America “Coca Cola Life”, una Coca Cola che invece di contenere zucchero o aspartame viene addolcita con un estratto della pianta di Stevia. Queste manovre, però, sono ritenute dall’amministrazione, ancora “esplorative” e la società, per ora, guarda ai mercati delle bevande non gasate come “mercati emergenti”.
Per ora, le cose per Coca Cola, non vanno però così male: anche se il valore di mercato della compagnia è sceso, nell’ultimo periodo le vendite complessive della compagnia sono aumentate del 2 per cento, i ricavi del 3 per cento e la liquidità della compagnia è aumentata di circa 5 miliardi di dollari.
Insomma, nonostante le previsioni non siano delle più rosee, la Coca Cola non smette di essere la bevanda “più ricca” del mondo. Open Happiness!