
Marco Paolini e i Mercanti di Liquore. Sputi

di Nicola Degani
“Stelle comuni, nessuno se ne cura, ma proprio grazie a loro la notte è meno scura”. Le parole di Gianni Rodari sembrano proprio riferirsi a questo disco, uscito senza molto clamore dieci anni fa, ma che ha saputo rimanere impresso nella mente e nel cuore di chi ama la musica folk o il teatro civile (o entrambi). Sputi è un album particolare, una raccolta che nasce dalla collaborazione tra Marco Paolini, il celebre (e bravo!) attore de Il racconto del Vajont, i Bestiari e Il milione, e i Mercanti di Liquore, estrosi e apprezzati esponenti del folk nostrano.
Questa “stella comune” ha lasciato il segno, proprio in virtù della sua unicità. Ed il motivo è che si tratta di un’antologia musicale strana, quasi difficile sotto certi aspetti, se non altro per la sua doppia valenza di disco a sé stante e di pièce teatrale, che nacque un po’ per caso dalla voglia di questi artisti di lavorare assieme. Il risultato fu uno spettacolo nel 2003, SONG N. 32, un concerto popolare “variabile” il cui filo conduttore è l’acqua, da intendersi in quanto risorsa e non come merce. Uno spettacolo che portò poi alla nascita di questo disco, un viaggio compiuto montando e arrangiando testi diversi e particolari, come i Canti Orfici di Dino Campana, le filastrocche di Gianni Rodari e la poesia di Giacomo Noventa, Ernesto Calzavera, Biagio Marin, Erri De Luca (e Paolini stesso). L’estrema attualità della tematica centrale dello spettacolo (basti pensare ai recenti referendum sull’acqua pubblica e ai numerosissimi movimenti che tuttora si battono per la loro attuazione) rende dunque evidente la ragione per cui, anche a dieci anni dall’uscita, il disco ha ancora molto da dire.
I Mercanti di Liquore regalano una grande prova d’autore: Lorenzo Monguzzi, con la sua voce calda e intensa, seppur pacata, accompagnato dalla chitarra di Simone Spreafico e dalla fisarmonica di Piero Mucili, avvolge noi “spettatori” con melodie trascinanti, quasi sentimenti in forma di note: non c’è mai una accavallarsi tra la componente melodica ed il recitato di Marco Paolini. Un effetto forte, ammaliante, che strega e non molla tanto facilmente. A sua volta l’attore offre il suo meglio sia con l’arte comica (come in Re Federico) che attraverso interpretazioni decisamente più serie, come in Il sergente nella neve, magnifico brano che mescola un estratto da Mario Rigoni-Stern e La Tradotta di Rodari (autore che, in quanto a citazioni, fa un po’ la parte del leone in tutto l’album).
Il cuore del disco è rappresentato da questa “Trilogia dell’acqua”, ovvero Due parti di idrogeno e una di ossigeno, Mare Adriatico (entrambi i brani riprese delle Filastrocche in Cielo e in Terra, sempre di Rodari) e La regola acquea, brano che rappresenta poi il manifesto programmatico del progetto, un’ode che mischia frammenti dello stesso Paolini e di Biagio Marin. Tuttavia non si può non rimanere toccati da pezzi come La notte mi par bella (una Petite promenade du poète di Dino Campana suggestivamente musicata) o Sette fratelli, la splendida, sincopata e incalzante ballata dedicata ai fratelli Cervi e ispirata di nuovo a Gianni Rodari, per ricordare quello che forse è uno degli esempi a tutt’oggi ancora più ragguardevoli della resistenza antifascista.
Un disco consigliatissimo, ispirato e ispiratore, non solo per l’intensità lirica che gli dà forza, ma proprio perché è indiscutibilmente bello da ascoltare. E riascoltare, a maggior ragione, ora che RaiTre ripropone – da poche settimane e fino alla fine di dicembre – gli Album di Marco Paolini, lo spettacolo nato dagli allestimenti teatrali che l’attore ha iniziato a portare sui palchi dall’87, trasmesso in televisione la prima volta nel 2005, di cui il disco è la colonna sonora e che ha contribuito un po’ a farne la fortuna.
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