
Il bacino del Colorado resterà a secco, mentre le multinazionali giocano a scacchi

di Francesca Matta.
Altro che California dreaming. Se state pensando alle spiagge, i surfisti che sfrecciano sulle onde del mare e le belle bionde che prendono il sole, forse è arrivato il momento di spegnere la televisione e fare più attenzione a quello che sta accadendo sotto il vostro naso.
Secondo l’ultimo studio del National Draught Migration Center, infatti, l’80% della California è in “estrema siccità” e, come confermato dalla Aarhaus University in Danimarca e l’organizzazione non profit CNA, l’aumento della popolazione globale insieme all’aumento del consumo di acqua porterà a una crisi di siccità nel 2040, con un divario del 40% tra la fornitura idrica a disposizione e la domanda interna.
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Non manca molto, e le multinazionali più affermate nel settore dell’industria idrica hanno già pensato a un piano B per salvaguardare i propri interessi: una “privatizzazione mondiale” dell’acqua, che ha visto la firma di imprese come Nestlé, Coca Cola e Veolia insieme alla Banca Mondiale, che dovrebbe assicurare lo sviluppo a livello mondiale. A presiedere il gruppo è Peter Brabeck, già presidente e primo amministratore delegato della Nestlé, che ha ricevuto 1,5 milioni di dollari per il nuovo progetto dall’International Finance Corporation. Una scelta che spiega fin troppo bene quale direzione si vuole prendere, dato che lo stesso Brabeck ha dichiarato pubblicamente che «l’accesso all’acqua non è un diritto pubblico», infischiandosene della risoluzione delle Nazioni Unite 64/292, che dichiara che l’acqua e i servizi sanitari sono tra i principi cardine dei diritti umani.
Ma come si è arrivati a questo paradosso? Quello della California è un esempio emblematico, che spiega come funziona l’industria dell’acqua, che viene spesso distorta da pubblicità ingannevoli che presentano i grandi marchi come “acque della salute”.
Il gruppo Nestlé usufruisce del 75% delle falde acquifere del bacino fluviale del Colorado, e ne controlla due punti nodali: Salida, nella riva orientale del bacino superiore, e il Passo di San Gorgonio, nella riva occidentale del bacino inferiore. Secondo i report annuali analizzati fino al 2009, la Nestlé imbottiglia in totale dai 946 ai 1.930 milioni di litri di acqua all’anno dal bacino fluviale del Colorado. Una risorsa importante per 40 milioni di americani che utilizzano le stesse acque, in particolare 22 tribù riconosciute federalmente, 11 parchi nazionali, 7 rifugi della fauna selvatica nazionali e 4 aree ricreative nazionali. In questa posizione strategica la multinazionale, con 29 strutture di imbottigliamento nel Nord America, ha intascato 4 miliardi di dollari dalla vendita di acqua in bottiglia solo nel 2012.
Ma l’acqua del Colorado viene usata anche per i vastissimi campi da golf, che si trovano nelle zone desertiche dell’Arizona e della California del sud e richiedono centinaia di migliaia di litri d’acqua per la loro manutenzione; per fare un esempio, tra il 2003 e il 2005 sono stati usati più di 7 miliardi di litri d’acqua al giorno.
In ultima analisi il settore che usufruisce in grande quantità dell’acqua in America, ma non solo, è quello energetico. Nonostante la produzione di energia venga spesso associata all’“oro nero”, infatti, il 41% del consumo dell’acqua che scorre nel continente americano viene utilizzato proprio a questo scopo: nel Texas, ad esempio, il 91% dell’elettricità deriva dal gas naturale, centrali nucleari e a carbone. Una delle tecniche maggiormente utilizzate è quella del “fracking”, per cui getti di acqua misti a sostanze chimiche vengono fatti esplodere sotto terra per rompere le formazioni di shale (scisto), producendo gas naturale.
Gli effetti della crisi di siccità sono devastanti e in America si è arrivati a un aumento del prezzo del cibo del 2,5% nel 2013, che ha raggiunto il +3,5% alla fine dell’anno scorso. Frutta e verdura fresca saranno tra le materie prime che da bene di prima necessità diventeranno un bene di lusso, dato che il loro prezzo aumenterà del 6%.
Le statistiche evidentemente hanno messo in guardia le grandi multinazionali del settore, come la francese Suez (oggi Ondeo), che si è preoccupata di fare sua una base nel New Jersey per acquisire un’infrastruttura idrica a Detroit, con un potenziale fine ultimo di privatizzare il bacino fluviale locale e i Grandi Laghi.
Ma la privatizzazione dell’acqua può essere davvero una possibile soluzione? Proprio in Francia, in seguito alla privatizzazione, si è registrato un aumento del prezzo dell’acqua del 50% (a Parigi si è arrivati al 54%), facendo pagare i soliti noti, mentre gli utili delle imprese lievitavano al 60-70% degli utili totali.
Non è quindi una questione legata esclusivamente ai diritti umani, che già di per sé basterebbero per bloccare questo business spudorato, ma ci sono anche ragioni economiche che devono essere prese in considerazione, perché si può vivere senza una bottiglia d’acqua, ma non senza un fiume, un lago, un mare.
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