
Idroelettrico sostenibile. Marchio di fabbrica della Camu Lenzi

di Katia Dell’Eva.
Azienda familiare alla sua terza generazione, “Camu Lenzi”, è un’impresa leader nel settore della progettazione e produzione di impianti idroelettrici e di regimazione delle acque, che da sempre trova sede nella piccola ma ricca cittadina di Arco (provincia di Trento).
Fondata nel 1968, dal nonno dell’attuale direttore, Gino Marcabruni, e da Fausto Calzà, suo socio, originariamente “Camu” si occupa soltanto della manutenzione di macchine e di cantieri. Con l’acquisizione della “Lenzi” di Trento, nel 1995, tuttavia, espande le sue competenze verso la carpenteria meccanica e il settore della regimazione, fino ad arrivare, oggi, a possedere competenze di progettazione, project management e direzione dei lavori, anche nei settori ambientale e civile.
Nonostante l’unica sede, che impiega all’incirca trenta persone, “Camu Lenzi” offre i suoi servizi, su commissione, in tutto il territorio nazionale (per il 70%) e in buona parte delle regioni estere (per il restante 30%), per un fatturato annuo medio di 4.5 – 5 milioni di euro. Accreditata a grandi marchi, come Enel, ha lavorato quindi in quasi tutte le zone italiane – compresa Parma, dove si è occupata di alcuni impianti Enia -, e in Europa, ma anche in Asia, nord Africa e sud America.
Ma, innanzi tutto, cos’è e come funziona, una centrale idroelettrica?
«Una centrale idroelettrica è, stando alla definizione accademica, un insieme di opere di ingegneria idraulica volte alla produzione di energia elettrica da masse di acqua in movimento. In poche parole, si ha un fiume, il cui corso viene bloccato e deviato in turbine – che possono essere di vario tipo, Pelton, Francis o a vite di Archimede -, le quali, attraverso la forza dell’acqua, producono energia. Mediamente una centrale produce dai 100 kW ai 10 MW. Se si considera che una casa, generalmente, necessita e dispone di 3 kW, questo significa che una centrale idroelettrica può soddisfare dalle 30 alle 3mila famiglie.»
L’acqua fa parte delle energie rinnovabili, ma una centrale idroelettrica no. Per questo ci sono dei parametri da rispettare, affiché il suo impatto sull’ambiente non risulti eccessivo. Quali sono?
«Esiste un’autorizzazione, redatta dai vari enti locali e nazionali che l’edificazione di una centrale chiama in causa – come ad esempio chi regolamenta lo sfruttamento delle acque o i beni ambientali -, nella quale, variando di volta in volta le normative, vengono stabiliti alcuni parametri necessari alla costruzione.
Un primo parametro riguarda il trattamento delle parti meccaniche, in particolare delle turbine. Essendo queste di metallo, è importante che non si deteriorino rilasciando materie ferrose nelle acque, perciò è necessario utilizzare materiali inossidabili o in carbonio, e rivestirli di vernice alimentare. Allo stesso tempo, infatti, la copertura non può in alcun modo intaccare le acque con cui entra in contatto e modificarne i valori chimico-fisici.
Una seconda normativa ha a che fare con la quantità d’acqua utilizzata dalla centrale in via di costruzione, che non può superare un prefissato numero di metri quadri o di litri al secondo. In tal modo viene garantito quello che è chiamato “dmf”, ovvero il “deflusso minimo vitale”. Con ciò si intende salvaguardare una presenza minima d’acqua, all’interno del fiume sfruttato, affinché non ci siano danni ambientali, alla flora e alla fauna in esso presente.
Sempre in relazione alla fauna ittica, in alcuni casi esistono prescrizioni riguardanti una “scala pesci”, ovvero una scalinata a basso dislivello, sulla quale scorra acqua, che garantisca a quelle specie che ne hanno necessità, la possibilità di risalire l’argine per la covata, senza rischiare d’essere risucchiate dalle turbine.
Un ultimo parametro riguarda infine l’”invaso“. Quando si argina un fiume, infatti, si viene a creare un piccolo bacino, un serbatoio necessario a garantire un afflusso costante d’acqua alle turbine. E’ però fondamentale che questo bacino non superi mai i livelli prestabiliti, o si rischierebbe un impatto eccessivo sulle falde e, in presenza di case, la possibilità di arrecare danni alla popolazione.»